(Alpha-Outhere Music 2018)
Nel doppio album ‘Schubert 1828’, uscito per l’etichetta Alpha Classics, il musicista Alexander Lonquich recupera magistralmente la febbrile produzione artistica dell’ultimo anno di vita di Schubert, che proprio nel 1828 compone le ultime Sonate per pianoforte (D.958, D.959, D.960) e i tre Klavierstücke D.946, caratterizzanti il cd. La personale e originalissima interpretazione del tedesco di Treviri restituisce la profondità del lirismo musicale schubertiano, rispettandone scrupolosamente il testo, evitando però al contempo di ripiegare nel facile poeticismo sentimentale e nell’artificio, talvolta stucchevole, di certe retoriche posticce del periodo romantico. La pienezza degli accordi e l’esasperazione delle dinamiche convivono, nella petrosa ed intensa concezione del Lonquich, con la mobilità del fraseggio e delle indicazioni temporali e con la rinuncia all’uso eccessivo del pedale di risonanza. Il dispiegarsi delle suggestioni musicali, lucidamente reso dallo stesso senza ammorbidire i toni intende scavare a fondo nella complessità di un canto – strutturato in realtà in maniera accuratamente ragionata e tutt’altro che spontanea dal compositore viennese – che fluisce pressoché ininterrotto, non senza contraddizioni. Talvolta, come accade nella Sonata in B flat major D.960, il processo creativo, nel suo incedere ineluttabile e tormentato appare intervallato da vagabondaggi e digressioni armonici privi di chiara direzionalità, configurando veri e propri itinerari interrogativi che di fatto rimangono insoluti: è il richiamo al Winterreise del 1827, il percorso compiuto nella molteplicità dei meandri tonali, il volontario smarrirsi del wanderer schubertiano. Numerosi i riferimenti beethoveniani, si pensi alle prime otto misure della Sonata in C minor D.958, che richiamano direttamente l’incipit delle Trentadue Variazioni in do minore di Beethoven. La lettura penetrante, a tratti sofferta e psicologica del Lonquich, tutta pervasa dalla resa del senso di accettazione rassegnata del discorso schubertiano, mira ad indagarne fedelmente ogni sottigliezza, e a palesare in modo asciutto la nuda umanità del genio di Vienna, invitando anche l’ascoltatore a perdersi nella sua “divina lunghezza”.
Voto: 10
Elisa Draghessi