(ECM/Ducale Music 2018)
‘Where the River Goes’ è l’ultima fatica discografica del chitarrista e compositore jazz austriaco Wolfgang Muthspiel, pubblicato nel 2018 dall’etichetta ECM del celebre produttore Manfred Eicher al pari del precedente disco di Muthspiel, ‘Rising Grace’ del 2016. Se si dovesse compendiare in tre sole parole lo stile chitarristico e compositivo del musicista austriaco, credo che ‘elegante’, ‘sobrio’ e ‘misurato’ potrebbero essere gli aggettivi appropriati. Elegante, sobria e misurata è infatti la chitarra di Muthspiel nel suo sapiente e saggio sapersi integrare e amalgamare nel contesto sonoro generato dall’‘interplay’ con i suoi fidi partner nella band; e dunque elegante, sobria e misurata è in ultima analisi la fattura o, se si vuole, il ‘sound’ complessivo della musica che si ha il piacere di ascoltare dalle otto tracce di ‘Where the River Goes’, ideale prosecuzione sotto molti aspetti del discorso avviato da Muthspiel col succitato ‘Rising Grace’, se non già con l’apprezzabile prova in trio di molti anni prima col disco ‘Air, Love & Vitamins’ (2004) in cui spiccava una delicata e commovente versione del brano Panis Angelicus di Vince Mendoza. Alla trascinante e dionisiaca sovrabbondanza della chitarra di un Mike Stern, alla incisività e sfumatezza blues della chitarra di un John Scofield, all’estrosità e sofisticatezza timbrica della chitarra di un Bill Frissel, all’incontenibile inventiva e inesauribile melodicità della chitarra di un Pat Metheny (giusto per limitarsi solo a quattro esempi di colleghi di Muthspiel illustri e molto famosi nel jazz degli ultimi decenni) un chitarrista come Muthspiel risponde con un proprio ideale di estetica ‘per sottrazione’, con un proprio modo di farsi notare e rendersi riconoscibile proprio tramite un consapevole sforzo di ‘non protagonismo’, con un proprio virtuosismo del dettaglio o (per usare una famosa espressione coniata da Theodor W. Adorno per il suo maestro di composizione Alban Berg) del ‘minimo passaggio’. È a partire dai dettagli (e, dunque, a partire da qualcosa di molto mediato, sottile e tenue che richiede attenzione e pazienza, più che a partire da qualcosa che colpisce e impressiona in maniera immediata per la sua forza) che si costruisce la forza dell’insieme, del tutto, dell’intero in una musica come quella di Muthspiel. Al disco precedente ‘Where the River Goes’ (che ho poc’anzi definito l’ideale prosecuzione di ‘Rising Grace’, a due anni di distanza) si ricollega sotto vari punti di vista, ovvero sia sotto il punto di vista della sua poetica in generale, sia sotto il punto di vista della durata e articolazione interna del disco (rispettivamente otto e dieci tracce, di durata variabile ma mai estremamente concise né mai estremamente estese), sia sotto il punto di vista dell’organico, che in entrambi i lavori affianca alla elegante, sobria e misurata chitarra di Muthspiel l’equilibrio, il rigore, la chiarezza e la straordinaria capacità di parimenti distinguersi e risaltare attraverso l’esercizio di compostezza e il virtuosismo dell’‘understatement’ (per mettere se stessi al servizio della musica, anziché mettere la musica al servizio del proprio virtuosismo esibizionista, come talvolta purtroppo accade…) di musicisti come Brad Mehldau al piano, Larry Grenadier al contrabbasso, Ambrose Akinmusire alla tromba e Brian Blade (in ‘Rising Grace’) e Eric Harland (in ‘Where the River Goes’) alla batteria. Fra i brani che, in questo esercizio di equilibrio e meditazione mai sfociante però in ripetitività o peggio ancora tediosità, a mio avviso spiccano maggiormente, cito volentieri qui la ‘title-track’ Where the River Goes, l’intrigante Descendants, l’ariosa e aperta Clearing e la penultima traccia, più movimentata e avvincente, dal titolo Blueshead, che dà modo di emergere appieno a tutti i protagonisti di questo straordinario quintetto.
Voto: 10
Stefano Marino