(New World Records 2019)
Personalità davvero singolare quella del compositore – e percussionista, o meglio, batterista – statunitense Peter Thoegersen, classe 1967. La sua musica non assomiglia a nient’altro che a se stessa. Non mancano, certo, dei punti di riferimento, rintracciabili in autori come Cowell, Carter, Nancarrow, Gann, con i quali il Nostro condivide l’interesse per la poliritmia, per l’uso simultaneo di tempi divergenti. A ciò si aggiunge la sperimentazione con il micro-tonalismo, anche qui declinato al plurale, la cui unica ascendenza può essere ravvisata nell’incompleta Unfinished Symphony di Charles Ives. Una tale vocazione per la multidimensionalità non può che tradursi in una musica che – specie nei due brani centrali, della durata di circa mezzora ciascuno – tende a biforcarsi, a prendere direzioni plurime che si accavallano e intrecciano di continuo, senza un’apparente direzionalità. L’impressione di frammentarietà, acuita dai suoni stranianti dei sintetizzatori suonati dallo stesso Thoegersen – va infatti aggiunto che, sebbene scritte per ensemble acustici, non esistono strumenti, al di fuori di quelli elettronici, capaci di rispettare le indicazioni relative ai tempi, alle altezze e alle frequenze sonore fornite dall’Autore per le sue composizioni – è smussata dal senso di giocosità che promana ad esempio dai riff di batteria sintetica o dalle sequenze in ostinato che imperversano anche nelle fasi di apparente quiete. Una musica coraggiosa e senza compromessi, dunque, quella di Thoegersen, che pur nella sua complessità strutturale e concettuale non rinuncia a essere comunicativa; il che, di nuovo, riflette in pieno lo spirito artistico americano, anche quando è votato al più radicale sperimentalismo.
Voto: 7
Filippo Focosi