(Overdrive/Temporary Residence Ltd. 2019)
A gennaio era uscita la notizia che il quartetto catanese stava registrando il nuovo disco con il ‘loro’ produttore Steve Albini a Verona (e masterizzato, da Bob Westonnel suo Chicago Mastering Service), per cui eravamo in trepidante attesa.
‘Quocumque jeceris stabit’ giunge a tredici anni dall’ultimo lavoro in studio “Stella” e a un anno dai festeggiamenti per i trent’anni di carriera che il quartetto ha festeggiato in uno splendido festival nella spiaggia etnea con una manciata di loro carissimi amici e colleghi: The Ex, June of 44, Shellac, Black Heart Procession, Three Second Kiss, Tapso II e Stash Raiders.
La scelta del titolo latino deriva dal motto dell’Isola di Man il cui simbolo è un triscele assai simile alla trinacria siciliana. “ Ovunque lo getti starà in piedi”: così si traduce il motto che è facile applicare alla Sicilia e al carattere dei suoi abitanti, forgiato da secoli e secoli di culture susseguitesi e miscelate tra loro.
Il motto è anche indicativo della resilienza degli stessi Uzeda, che in questi tredici anni nonostante abbiano perso amici, membri delle famiglie, collaboratori e partner lavorativi, non hanno mai perso la loro stoica e immarcescibile determinazione per continuare a ispirare e, allo stesso tempo, trarre ispirazione da tutti coloro li circondano, che siano in vita o meno.
Tra i principali esponenti mondiali del noise rock, gli Uzeda con questo nuovo lavoro continuano il percorso che era stato interrotto con “Stella”. L’attacco del primo brano, Soap, infatti, è il perfetto anello di congiunzione con il disco precedente, dove emerge una totale libertà di volteggiare della chitarra di Agostino Tilotta, sostenuta e incalzata dal basso di Raffaele Gulisano e dalla batteria di Davide Olivieri.
La differenza principale che emerge sta nell’utilizzo della voce di Giovanna Cacciola, che in più occasione si fa aggressiva, evocando le Riot grrrls, e in particolare la prima PJ Harvey, vuoi nell’inebriante aggressiva e rabbiosa Deep blue sea, vuoi nelle circolarità spezzettate di Mistakes.
Intriga in particolare Nothing but the stars perché sembra una ballata noise e dove la Cacciola canta in modo eccelso, sostenuta soprattutto dal basso particolarmente pulsante di Gulisano. Sembra particolarmente legato al progetto parallelo di Tilotta e Cacciola, i Bellini, The preacher’s tale per il suo incedere vorticoso e sincopato allo stesso tempo, brano che per certi versi fa il paio con Speaker’s corner, la più tesa ed esplosiva degli otto brani.
‘Quocumque jeceris stabit’ è la quinta perla di una discografia priva di cadute, ma sempre sulla cresta dell’onda.
Voto: 9
Vittorio Lannutti