(Juxtapositions 2019)
‘Transfigurations’ della violoncellista d’avanguardia, poetessa e performer (stando alle ‘liner notes’ nella ‘Press release’) Cellista è un lavoro molto recente, pubblicato il 31 maggio del 2019, che fa seguito al suo album di debutto del 2016 ‘Finding San Jose’. ‘Transfigurations’ si compone di 11 tracce di diversa lunghezza e anche musicalmente piuttosto eterogenee fra loro, cosa che al primo ascolto lascia una sensazione di curiosità e un desiderio di riascolto e di approfondimento, giacché in campo artistico non è infrequente che la pluralità, la molteplicità e finanche l’incoerenza possano rivelarsi caratteristiche esteticamente fertili e proficue, ma che al secondo o terzo ascolto lascia invece nell’ascoltatore la sensazione di trovarsi di fronte a un lavoro la cui incoerenza è più che altro frutto di mancanza di idee. Gli 11 brani in cui si articola l’itinerario di ‘Transfigurations’ nel suo complesso si intitolano, nell’ordine, ‘Rupture’, ‘Confessions’, ‘Rupture II’, ‘Look Homeward, Angel’, ‘Rupture III’, ‘You Can’t Go Home Again’, ‘Rupture IV’, ‘Repetitions’, ‘Rupture V’, ‘When the War Began’ e ‘Tzeva Adom’, e giocano molto (spesso troppo, in verità…) con il rimescolamento dei linguaggi, con l’alternanza di suoni e rumori, melodie e dissonanze, con lo sconfinamento del pop nell’avanguardismo e dell’avanguardismo (o pseudo-tale…) nel pop, con l’uso di pattern standardizzati impreziositi con dettagli sperimentali (o pseudo-tali) e viceversa. Beninteso, non mancano in ‘Transfigurations’ alcuni spunti interessanti e alcune soluzioni musicali intriganti che fanno capolino qua e là all’interno dei brani e che sanno stupire positivamente l’ascoltatore, ma il disco nel suo complesso viaggia su binari che oggi, nel 2019, difficilmente possono sorprendere quanto a originalità e novità, pur pretendendo che sia così per via di una patina di performatitivà/sperimentalità/visionarietà/artisticità avanguardista con cui Cellista sembra voler ammantare il proprio lavoro, purtroppo non riuscendoci quasi mai. Più che evocare il nuovo, dunque, ‘Transfigurations’ suscita la sensazione di invecchiamento tipica di qualcosa che finge d’essere musicalmente radicale ma che è in realtà abbastanza innocuo e predigerito. Il che condanna inevitabilmente il disco all’insufficienza.
Voto: 4
Stefano Marino