(Palmetto Records 2019)
Se c’è una parola con cui definirei l’arte magistrale del Fred Hersch Trio – qualora fossi costretto a racchiudere davvero in una sola parola un’esperienza di ascolto complessa, raffinata e dunque in realtà irriducibile come quella che si compie con il presente cofanetto di 6 CD live ’10 Years’ –, questa parola sarebbe ‘eleganza’. Elegante è infatti il pianismo del leader del trio, Fred Hersch, impeccabile tanto sul piano melodico quanto sul piano armonico, tanto nei brani più veloci e ritmicamente coinvolgenti quanto nelle ballad più soffuse e struggenti. Così come elegante è l’accompagnamento (ma mai tale parola fu più inadeguata che in questo caso, cioè nel caso di un trio così affiatato nell’interazione reciproca e nella piena corresponsabilità di tutte le scelte esecutive, in ogni performance e in ogni improvvisazione) dei partner musicali di Hersch, John Hébert al basso ed Eric McPherson alla batteria, veri e propri maestri nella difficile arte dell’interplay. Ed elegante, infine, è il repertorio selezionato per questi 6 CD, variegato pur nell’unitarietà (ma mai monotonia) della formula del trio e spaziante da standard classici del jazz di ogni epoca a brani scelti di Coleman, Davis, Monk, Motian, Parker, Rollins, Shorter fino a composizioni originali dello stesso Hersch. Un trio, quello formato da Hersch, Hébert e McPherson, che – come dice il titolo stesso del cofanetto e come ci informano puntualmente le liner notes compilate dallo stesso Hersch, a cui si affianca una breve ma preziosa e quanto mai elogiativa presentazione da parte del famoso critico musicale e storico del jazz Ted Gioia – è ormai attivo in modo stabile e continuativo da dieci anni, dopo alcuni cambiamenti di organico nel trio di Hersch che in precedenza aveva incluso musicisti non meno validi come Drew Gress, Tom Rainey e Nasheet Waits. Il cofanetto pubblicato alla fine del 2019 dall’etichetta discografica Palmetto Records rappresenta dunque, nelle parole dello stesso Hersch, una maniera ‘to celebrate ten years of making music together’, e per celebrare questi dieci anni in maniera molto più che degna, come si diceva. Il cofanetto comprende i seguenti album: ‘Whirl’ (originariamente uscito nel 2010: CD 1 del box), ‘Alive at the Vanguard’ (originariamente uscito nel 2012: CD 2-3), ‘Floating’ (originariamente uscito nel 2014: CD 4), ‘Sunday Night at the Vanguard’ (originariamente uscito nel 2016: CD 5) e infine ‘Live in Europe’ (originariamente uscito nel 2018: CD 6), ed è veramente impossibile operare una selezione che non sia del tutto arbitraria fra quale dei 6 dischi risulti musicalmente più riuscito degli altri o fra quali dei tanti brani siano assolutamente da segnalare per l’ascolto e quali no. L’unica esperienza possibile e realmente adeguata, nel caso di un’opera come il presente cofanetto di 6 CD, consiste nell’ascolto integrale di tutti i brani, nella sequenza cronologica di pubblicazione originaria dei singoli album o anche in un’altra sequenza, ma comunque con un atteggiamento di rispettosa attenzione per il lavoro meticoloso, raffinato e, come si diceva, elegante svolto da questi eccellenti musicisti. Persino improntate alla straordinarietà, sotto questo punto di vista, appaiono le parole del succitato Ted Gioia nelle liner notes del cofanetto, là dove scrive ad esempio: “Do you choose the old or the new? […] We are fortunate that there is a third option – but one that only few are able to pursue. Instead of going forward or backward, the jazz improviser has the option of going deeper. The rare artists who can achieve this find a way to transcend the chronology of the music. […] No jazz artist of our time exemplifies this immersion deeper into the idiom than pianist and composer Fred Hersch. […] If I were a sportswriter perhaps I would praise the intangibles – those elusive attributes that separate the great from the merely good – and leave it at that. Perhaps I could serve up other words that try to get at this aspect of his music, starting with the three I’s: integrity, immediacy, involvement. […] As a collective, these three musicians represent the gold standard for jazz trio music in the present day”. Eppure, nonostante ciò, a conclusione di questa recensione molto positiva devo anche segnalare la presenza di un’assenza nel cofanetto del Fred Hersch Trio, ovvero il fatto che forse vi sia qualcosa che non va, o meglio qualcosa che talvolta sembra mancare, nelle pur magnifiche performance raccolte nei 6 CD di ’10 Years’. Qualcosa che, essendo costretto a tradurre il giudizio estetico (per sua natura volto all’espressione linguistica di un’esperienza singolare e qualitativamente irriducibile, come ogni esperienza estetica) in forma quantitativa e numerica, mi spinge, seppur a malincuore, a non assegnare il massimo di 5 stelline all’opera del Fred Hersch Trio ma 1 stellina in meno. Il qualcosa in questione, l’assenza o mancanza poc’anzi citata, è ciò che, sforzandomi di trovare le parole adatte, definirei con termini quali passione, intensità, calore, emozionalità. Tutti aspetti, questi ultimi, facenti parte della fondamentale dimensione espressiva della musica, in generale, e del jazz, in particolare, e che, se da un lato, non possono certamente sostituirsi all’altrettanto fondamentale dimensione tecnica (tanto compositiva, quanto performativa-improvvisativa), dall’altro lato non possono nemmeno imporsi completamente a scapito dell’espressività, il segreto di ciò che Gioia chiama enfaticamente “the intangibles” risiedendo proprio nella capacità, più unica che rara, di far vivere nella propria musica entrambe le dimensioni in maniera pienamente solidale e complementare. Nella sua ineccepibile eleganza e sovrana padronanza tecnica il Fred Hersch Trio, a modesto parere di chi scrive, sembra talvolta lasciarsi sfuggire questa sorta di alchimia magica, in quanto tale indefinibile, inafferrabile e non-padroneggiabile, che l’ascoltatore esperto può riconoscere nelle prove più riuscite dei trii piano/basso/batteria di Keith Jarrett, di Brad Mehldau o di John Taylor (giusto per fare tre esempi fra i molti che si potrebbero citare). Troppo perfetta per essere davvero perfetta (il jazz essendo proprio ‘l’arte imperfetta’, giusta la definizione del succitato Ted Gioia in un suo libro famoso sull’argomento), la musica del Fred Hersch Trio merita senza alcun dubbio 4 stelline ma manca la promozione a pieni voti a causa dell’assenza di quell’1% di ‘imperfezione’ che fa del jazz ciò che esso è e ciò per cui lo amiamo così tanto.
Voto: 8
Stefano Marino