(Creative Works Records 2019)
Quando si inizia ascoltare le tre composizioni per pianoforte (non preparato: precisazione doverosa, di cui darò conto a breve) del compositore e performer svizzero Jacques Demierre (classe 1954) contenute nel Cd licenziato nel 2019 dalla Creative Works Records, viene inevitabilmente a mente la Strumming Music praticata da Charlemagne Palestine a partire dagli anni Settanta del Novecento. In ambo i casi, infatti, siamo da subito inghiottiti in un flusso sonoro che scorre inesorabile, un continuum di note e arpeggi ripetuti, ribattuti, martellanti (senza far ricorso a oggetti esterni, alla maniera di Cage, ma tutt’al più percuotendone direttamente le corde, alla maniera di Cowell: ecco il senso della precisazione iniziale), che ti trascinano nel loro vortice ondeggiante, percussivo, tribale. Comune è anche l’esperienza del suono puro, la fisicità di un ascolto che, al tempo stesso, aspira alla trascendenza della stessa dimensione corporea. Demierre, tuttavia, mira a qualcosa di diverso dalla trance estatica che Palestine magicamente riesce a indurre con le sue leggendarie performance. Dal flusso ininterrotto e apparentemente caotico di suoni emergono infatti, di quando in quando, dei motivi, qualcosa di simile a dei temi, con cui egli scandisce una sorta di percorso emotivo interno a ciascun brano (la cui durata oscilla tra i 15 e i 25 minuti). Demierre è da sempre alla ricerca di un equilibrio tra improvvisazione e composizione, e ha più volte affermato di essere interessato alla dimensione architettonica della forma musicale, sebbene una tale dimensione non sia così facile – almeno per me – da percepire. I titoli delle tre composizioni fanno riferimento a elementi naturali (il cielo, il vento, la pioggia), e suggeriscono che una delle chiavi di lettura dell’arte di Demierre vada rintracciata proprio nel tentativo, che egli mette costantemente in atto, di creare ambienti sonori attraverso cui recuperare un rapporto primigenio e immersivo con la natura, e forse anche con i meandri più reconditi del nostro io.
Voto: 6
Filippo Focosi
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