(Discus Music 2020)
Lasciamo stare il titolo “trascrittoma”: il termine che indica il catalogo di geni espressi in una singola cellula. Quello che conta è il sound dell’album. Inquieto e inquietante, sinistro, a volte torbido ed eppure pulsante, ambient e sciamanico. A tratti insistente elettro-acustic sound. A tratti techno (una techno rivisitata, re-enacted, ritmicamente smontata e rimontata). A tratti invece un’estensione delle atmosfere di Tomorrow Never Knows dei Beatles di ‘Revolver’. Solo che qui il canto non c’è (solo voci che si mescolando nel clima sonoro generale). È la pulsazione ossessiva e tribale dei tamburi a ricordare quel brano, mentre il sax insiste su un riff ripetuto, su cui si libra in volo l’improvvisazione di un altro sax.
Ho ascoltato davvero molte volte questo album di Martin Archer (vari sax, melodica, flauto, registratori, elettronica), Paul Shaft (chitarra, basso, sintetizzatori, percussioni etniche, voce: non canto, ma voce) e Paul Hague (percussioni ed elettronica) e credo sia la cosa migliore che Archer ci abbia offerto in quest’annus horribilis. È un album capace di segnare musicalmente il mood, o la gamma di moods che ci opprime in questa fase.
Voto: 8
Alessandro Bertinetto