(Naxos 2020)
Ex enfant terrible della musica contemporanea, di cui è ormai uno dei protagonisti più affermati e conosciuti, l’inglese Thomas Adès (nato nel 1971) deve buona parte della sua notorietà a lavori orchestrali come Asyla – eseguito da Simon Rattle nel 2002 nel suo primo concerto alla guida della Berlin Philarmonic Orchestra – o In Seven Days (2008). Ciò che colpì da subito pubblico e critica fu la padronanza e l’uso inventivo, perfino funambolico, che il compositore – ma anche pianista e direttore – inglese fa della compagine orchestrale, nonché la capacità di coniugare complessità di scrittura e potenzialità emotiva. Qualità che non sempre si ritrovano nella sua produzione cameristica, ma che invece riemergono, seppur ovviamente in veste diversa, nei lavori pianistici qui presentati e brillantemente eseguiti da Han Chen, che coprono un ampio arco creativo, che dal 1992 arriva fino al 2018. Alcuni lavori, come Traced Overhead, si muovono su un piano più astratto, la cui densità polifonica e complessità poliritmica risente degli studi di Ligeti, autore molto amato da Adès. Nella maggior parte dei brani si creano interazioni interessanti e a volte spiazzanti tra un linguaggio modernista, formalmente intricato, e contenuti più ‘concreti’, che siano mazurke, canzoni rinascimentali, o temi tratti dall’opera Powder Her Face, firmata dallo stesso Adès. Contenuti che vengono manipolati e trasfigurati con esiti assai diversi, che vanno dall’acceso virtuosismo della parafrasi concertistica dell’opera suddetta, al linguaggio rarefatto e visionario di Still Sorrowing o della terza delle tre Mazurkas. La conclusione è affidata a un brano, Souvenir, in cui l’Autore rivela una inedita vena intimistica, volgendo uno sguardo nostalgico e delicato al mondo della musica francese di primo Novecento.
Voto: 7
Filippo Focosi