Franco Fabbri, è una figura cardine, sia nazionale che internazionale, degli studi sulla Popular Music. Ha partecipato alla alla fondazione della Iaspm (International Association for the Study of Popular Music), di cui è stato anche presidente, ha rivestito i panni di docente di materie afferenti alla Popular Music, per diverse università e conservatori italiani e non solo, ha pubbicato nel corso degli anni svariate pubblicazioni come ‘Il suono in cui viviamo – Saggi sulla Popular Music’, ‘Around The Clock. Una breve storia della Popular Music’, i due ‘Album Bianco’. Immerso nella musica fin dalla nascita, come ci racconta nel volume: «Provengo da quella che di solito si chiama una famiglia musicale: il mio nonno materno era violoncellista alla Scala, la nonna era insegnante di pianoforte; mio padre, quando mi vedeva trafficare con il suo registratore a nastro (intorno al 1960) mi raccontava delle sue conversazioni con Toscanini (all’inizio degli anni trenta) a proposito del registratore a nastro d’acciaio (il Marconi-Stille), nelle quali il Maestro sosteneva che la registrazione e il montaggio avrebbero influenzato il futuro della musica. E mia madre era quella che, come ho raccontato altre volte, andava a disturbare Luigi Nono e Marino Zuccheri per far realizzare nello Studio di Fonologia della Rai di Milano effetti speciali per versioni radiofoniche di testi di Palazzeschi. Ho studiato chitarra classica, musica elettronica e composizione (con Luca Lombardi, al Conservatorio di Milano)». E’ stato uno dei fautori della storica band degli anni Settanta degli Stormy Six, parte del movimento politico-musicale Rock In Opposition, insieme a nomi storici come Henry Cow e Univers Zero. Praticamente uno studioso che si è occupato anche di musiche non strettamente popular «discutendone in pace con persone come Luigi Pestalozza, Luigi Nono, Giacomo Manzoni, Armando Gentilucci, il mio maestro di composizione Luca Lombardi e il suo collega Adriano Guarnieri, non proprio persone prive di senso critico e fra le più accomodanti di questo mondo, così come del resto Gino Stefani, Mario Baroni, Roberto Leydi…».
In questa raccolta di saggi troviamo saggi scritti in origine per il Teatro alla Scala, per riviste, programmi radio e altre istituzioni, dove Fabbri ragiona e discute sulle opere di autori come Mahler, Beethoven, Strauss e Schönberg, arrivando a Leonard Bernstein, Glass, fino a raccontare con dovizia di particolari l’ultimo Frank Zappa “contemporaneo” di ‘The Yellow Shark’. Nel prosieguo del volume Fabbri discute di musica a livello metodologico e storico, focalizzando la sua riflessione sulle “musiche” e la loro ricezione, comprensione, pratica, (leggere ad esempio i saggi ‘I nomi delle musiche’, ‘La musica come forma dell’interrelazione sociale’ ‘Il corpo nella mente musicale’), fornendo continuamente informazioni, spunti di riflessione, possibili argomenti di riflessione e ricerca, senza mai perdere di vista il profondo intreccio che unisce le musiche, vuoi contemporanee, popular, etniche, e chi più ne ha più ne metta, ma anzi spronando il lettore ad intraprendere un suo percorso continuo di ascolto e lettura. Alla fine della recensione una riflessione la possiamo fare: dateci altra “musica non leggera” insieme ad altra “musica leggera”, sono sicuro che non basta mai.
Voto = procuratevelo!!!
Franco Fabbri, Non è musica leggera, Milano, Jaca Book, 2020