(Discus 2021)
Ispirata al trio di Leo Smith degli anni ’70 e più in generale allo stille AACM, la musica del molto ben assortito trio formato da Martin Archer (sassofoni, clarinetti, elettronica, flauto), Chartlotte Keefe (tromba e flicorno – spesso suonati con la sordina) e Martin Pyne (batteria, toy piano e vibrafono) è il risultato di una piena collaborazione tanto alla composizione dei brani quanto alla loro esecuzione. È musica intrisa di blues: mi è inevitabile sentire echi di Summertime – certamente rivisitato in una chiave acida e prog – in un passaggio, della tromba di jean, nascosto tra l’ostinato del sax e il generale mélange dell’interplay musicale; ma non è l’unico dei temi blues che mi sembra di scovare nelle pieghe della musica del trio.
Certamente è in brani come g.e.m. che appare evidente uno dei marchi di fabbrica dello stile à la Martin Archer, quando dal caos del libero improvvisare sorge il cadenzato e ostinato refrain di poche note, che torna, come un’idée fixe, nel corso del brano. Poche note dei fiati, molto ritmicamente scandite, danno il via allo svariare di batteria e vibrafono in looking for gene e il disco prosegue così, alternando nelle sue tracce brevi e solidi ancoraggi compositivi allo spazio dell’improvvisazione, mantenendo viva l’energia dell’interplay. Uno dei brani più significativi, in questa prospettiva, è la lunga song for bobby naughton articolata attorno al presentarsi ciclico e suadente di due semplici intervalli – tre note in tutto (re-mi-re) suonate dal clarinetto; ma anche seduction dance è significativa in tal senso, per il suo innestarsi su un veloce riff di tromba, che torna regolarmente a strutturare il brano, dando sempre il via allo svisare di fiati e percussioni e alla comparsa di un altro riff guidato questa volta dal sax, e incastrato sul primo. Anche qui riappaiono echi di brani celebri (non posso evitare di pensare a Jingle Bells a un certo punto). Ma anche la (semi-)orientaleggiante earth memory rimane impressa per il carattere scolpito del suo tema. Brani più astratti, come sleep uneasy portano in primo piano la vena avanguardista del trio, ma convincono meno, perché qui manca la tensione e la pulsione che la musica del trio riesce altrove a generare, per es. già nell’immediatamente successivo, e breve, the story in the mirror, il cui tema, spiccatamente blues, è spinto da uno swing esplicito, presente anche in tommy e, più implicitamente, nel conclusivo dolly grip: impulsivo, un po’ etereo, ma intriso di tensione grazie all’inserimento di pause a puntellare il saltellare della tromba, agli accenni di continuità interrotta della batteria e ai richiami del sax, che danno poi il via a scorrerie di libera improvvisazione collettiva, tenute a freno solo dal ritorno dell’idea iniziale che porterà alla conclusione dell’intero album con uno statement sottolineato con vigore dall’ensemble.
Voto: 8