(BMOP Records, 2021)
Elliot Carter può essere senza dubbio annoverato tra i più grandi compositori americani del ‘900. La sua lunga carriera, morì a 103 anni, ha avuto un corso ben definito, muovendo da un linguaggio prettamente neoclassico/straviskyano, con influssi del rigoroso contrappuntismo hindemithiano, giungendo ad una visione sempre più ampia complessa e dissonante, fatta di sovrapposizioni armoniche e contrasti timbrici potenti e di grande fascino. Il CD ‘Ballets’ raccoglie due splendidi lavori per la danza, scritti nel 1938-39 e 1947. Parliamo quindi del primo periodo, di derivazione neoclassica, non a caso gli studi a Parigi con Nadia Boulanger spinsero l’autore americano verso quello che era considerato il nuovo “vangelo” musicale degli anni ’20, ’30 e ’40 del Novecento. Incoraggiato poi, tra gli altri, nientemeno che da Charles Ives, e dopo aver preso lezioni da Walter Piston e Gustav Holst, Carter produsse una serie di composizioni tonali di grandissimo effetto e fascino, anche per l’uso della potente e complessa componente ritmica. Dopo il 1950, più o meno, cambiano le sue personali prospettive compositive, e Carter si spinge verso l’atonalità e la complessità ritmica della metric modulation, tornando a sviscerare lo stile e le intuizioni del geniale Ives, che aveva a suo tempo anticipato e aperto nuovi orizzonti musicali per la musica americana. Le famose e complesse Variations for Orchestra del 1955 rappresentano forse lo spartiacque della sua carriera e se si ascoltano la sua Symphonia: Sum Fluxae Pretium Spei o i suoi Quartetti per Archi n.3 e n.4 coi quali vinse il Premio Pulitzer, si può comprenderne bene l’evoluzione dello stile, che si discosta notevolmente da quello dei due balletti qui rappresentati. Il primo Carter, quello che personalmente preferisco, è qui molto ben delineato, interpretato ed eseguito dalla stupenda Boston Modern Project Orchestra sempre diretta da Gil Rose. Pocahontas è un balletto coinvolgente, ritmico, potente, ma anche ricco di punte melodiche notevoli. Un’opera permeata dallo spirito americano e dall’estetica musicale di quel periodo, promossa da compositori quali Copland, Barber, Piston, schiera di autori più legati al neoclassicismo di stampo europeo. The Minotaur pur essendo sempre contenuto nell’ambito tonale, è più oscuro, tenebroso e ricco di contrappunti alla Hindemith, se possiamo dire, più complesso ed elaborato. La sua descrittività intrinseca e la dinamica drammaticità lo rendono davvero imponente ed interessante. Ne sono notevoli esempi la potenza degli ottoni nella processione ed entrata del re, o nella battaglia con il Minotauro, come per contrasto, lo sono i bellissimi momenti lirici che descrivono Arianna e Teseo.
Voto: 9