(Discus-Music 2021)
È sicuramente vero: più facile dire quali strumenti Martin Archer ed Hervé Perez non suonano che elencare quelli che suonano: sassofoni e altri fiati, sintetizzatori, organo, piamo elettrico, percussioni, elettronica, sintetizzatori e software. Ed è anche sicuramente vero che il mélange di musica proposta in questo nuovo album del duo, attivo da diversi anni, è interessante per il cocktail di tradizioni musicali che viene sperimentato: musica elettronica, musica ambient, elettronica, avanguardia, sound painting free jazz. E, ancora, sicuramente il lavoro sui suoni è di grande qualità: il modo in cui eventi sonori sorgono da e si fondono con altri è magistrale.
Eppure, diversamente da altri lavori del duo e anche dagli ultimi album di Archer, questo album non decolla. A sprazzi il groove sembra finalmente partire, la sperimentazione sonora sembra metter capo a forme di senso compiuto, il mix di suoni acustici ed elettronici pare emergere dall’acidità voluta del flusso incerto e dar vita a enunciazioni convincenti e convinte. Ma l’impressione è che questo non accada mai davvero e si resti sempre su un piano, fluttuante, di incertezza irrisolta. Ad esempio, gli assoli intrecciati dei fiati in A Dark Night Ahead of Us in un magma di elettronica su una pulsazione di batteria e basso elettrici sono molto avvolgenti. Eppure la sensazione è che tutta questa maestria, esibita anche alla fine del brano, quando la pulsazione esplicita finisce, sia un po’ fine a se stessa: un’esibizione di virtuosismo. E questa sensazione si riaffaccia in Intermediate Space, quando il sax soffia sul magma incandescente e fluttuante di suoni elettronici sorretto dall’insistita pulsazione. Il disco scorre tutto così: senz’altro è animato da grande maestria e conoscenza, ma la musica del duo non graffia, resta troppo soft e ovattata anche quando il sax si fa più rauco. Almeno, questa è la mia impressione. A voi l’ascolto.
Voto: 6