(Pelagic Records 2021)
Gli abruzzesi Oslo Tapes giungono al loro terzo disco, tenendo fede al riferimento al mondo norvegese. ‘ØR’, il titolo di questo disco, infatti, nella lingua scandiava vuol dire vertiginoso, confuso. Vertigini e confusione sono anche, se non soprattutto, le sensazioni che tramettono queste otto tracce, che trasportano l’ascoltatore in un viaggio onirico nel quale sono presenti immaginari altopiani norvegesi dipinti in forme cubistiche.
Tuttavia, la coerenza del gruppo capitanto da Marco Campitelli emerge anche nello sitle musicale, che resta un’intrigante miscela tra sperimentazione, kraut e post-rock. A differenza di tanti altri lavori che in un modo o nell’altro miscleano questi tipi di sonorità, in ‘ØR’ la sperimentazione non è mai fine a se stessa, dunque non è come a volte accade autoreferenziale, ma integrandosi con gli altri generi, li arricchisce, creando sonorità complesse e allo stesso tempo immediate ed efficaci.
Questo aspetto caratterizza molti degli otto brani, in particolare Space is the place, nella quale l’ossessione mantrica non è bloccata, ma progredisce in modo pulsante e con traiettorie sonore sparate verso l’esterno.
Non da meno è Bodø Dakar, nella quale i riferimenti agli Ulan Bator dell’amico di Campitelli Amaury Cambuzat si integrano con ritmiche tribali africane, con modalità acide e filtrate. Tra i brani più onirici quello che spicca maggiormente è Exotic Dreams, per il suo chiaro omaggio ai primissimi e nervosi Velvet Underground, mentre è con Cosmonaut che il gruppo abruzzese mette in mostra le sue principali doti innovative con uno strano ed intrigante equilibrio tra il synth pop, evocazioni, bassi ipnotici e trame di chitarra psichedeliche.
Questo disco dimostra che ha ancora senso sperimentare e miscelare sonorità differenti, a patto che lo si faccia con l’obiettivo di non essere fini a se stessi, come gli Oslo Tapes hanno fatto anche con ‘ØR’.
Voto: 9