(Discus 2021)
La conversazione tra i fiati (un vasto ventaglio di sax, il flauto e l’armonica basso) di Martin Archer e le corde (varie chitarre, mandolino, banjo, ukulele…) di John Jasnoch è il filo conduttore di questo disco. Il suo inizio è faticoso, aspro, un po’ respingente. Piano piano il discorso acquisisce contorni un po’ meglio delineati e il materiale musicale configura idee più chiare – comunque, senza mai trovare un facile sentiero da percorrere. L’impressione generale allora è che la comunicazione ricercata sia quella tra i due musicisti, che paiono impegnati a prendere appunti per poter sviluppare i barlumi ideativi che fanno capolino di quando in quando. Pare insomma che a essere esibito all’ascoltatore sia il lavoro preparatorio, non il risultato. È senz’altro una possibilità della musica di ricerca, peraltro non inedita. Ma la fatica con cui dalla ricerca emerge talvolta una proposta esteticamente plausibile a volte potrebbe esserci risparmiata (soprattutto nella prima parte dell’album). Ciò detto, i due musicisti, a lungo andare, acquisiscono un’intesa che funziona, riescono a collaborare in modo da garantirsi vicendevolmente aperture di libertà espressiva, rispondono agli inviti del partner in modo efficace. E il risultato musicale, che esibisce in suoni questa dinamica, ha aspetti, per lo meno, interessanti, e in Provenance così come nella successiva e conclusiva I Know There’s A Question/Groundhog’s Answer, anche convincenti – perché la libertà dal vincolo porta a configura un senso sonoro accogliente e accoglibile. Un certo astrattismo, svincolato da figure ritmico-armonico-melodiche chiare, anche se condito da qualche sparuta e minimale venatura blues-groovy (Railroad Blues/To The Tiltyard), è sicuramente la cifra stilistica di un duo in cui, di norma, il fiato guida e la corda risponde e puntella, riservandosi tuttavia, talvolta, qualche (blanda) iniziativa.
Voto: 6,5