(Discus 2021)
Il trio già lo conosciamo ed è sicuramente ben assortito: Martin Archer ai sax; Nick Robinson alle chitarre; Steve Dinsdale alla batteria. E tutti si cimentano anche con l’elettronica e le tastiera, com’è d’uso al giorno d’oggi. Il post-progressive(a-volte-anche-aggressive)-electric-jazz che ci propongono è certamente una delle tendenze importanti della musica d’avanguardia contemporanea, soprattutto di quella che proviene d’oltremanica. Tempi sostenuti e incalzanti, sviluppi, pattern riproposti, intrecci e ghirigori elettronici, assoli ruvidi, cura del suono, atmosfere ambient: questi gli ingredienti principali dell’album.
Ma già dall’estetica della copertina trapela la vena del disco. Un andamento un po’ bombastico, molto ripetitivo e decisamente troppo autocompiaciuto, nonostante la sospensione che aleggia lungo tutte le tracce. Archer rivisita modelli e stili già ascoltati senza offrire molto di nuovo e sorprendente. Nonostante lavori intrecciando composizione e improvvisazione, naviga in acque a lui – e a noi, o almeno a me –note ostentando troppa sicurezza, laddove l’esplorazione dell’incertezza dovrebbe essere anch’essa un elemento basilare dell’improvvisazione. Intendiamoci: niente di grave. Eppure un po’ di stanchezza affiora da quest’esibizione un po’ stantia di vigore.
Voto: 6,5