(Naxos 2021)
Uno dei tanti meriti dell’etichetta americana Naxos è quello di aver portato a conoscenza degli appassionati di musica una gran quantità di opere appartenenti a tradizioni musicali non tra le più comunemente battute, riportando all’attenzione lavori pregevoli ma poco conosciuti ai più, e proponendo percorsi d’ascolto inediti e affascinanti. Tale è il caso di questo imperdibile Cd che, attraverso la nobile forma del quintetto per pianoforte e archi, ci conduce alla scoperta di tre autori che, attraverso lavori stilisticamente eterogenei (e magnificamente eseguiti), tracciano una ideale evoluzione della musica ucraina degli ultimi cento anni circa. Il quintetto scritto nel 1942 da Boris M. Lyatoshynsky, considerato il padre della musica classica ucraina, è a mio avviso un vero e proprio capolavoro. Si tratta di un’opera di larghe dimensioni, della durata complessiva di circa quaranta minuti, che rifulge tanto per la mirabile costruzione formale su larga scala, quanto per la bellezza dei singoli episodi melodici e ritmici. Il primo movimento è pervaso da una passionalità tardo-romantica che si palesa soprattutto nel primo tema, condotto principalmente dagli archi, mentre è il pianoforte a farsi portavoce di un secondo tema, nel confronto con il quale si assiste a uno sviluppo melodico e armonico di grande intensità e fluidità, che si stempera nelle distensive battute finali. Il secondo movimento è giustamente descritto come il cuore emotivo dell’opera, in virtù di una melodia di commovente e seducente intimità, che si dipana lentamente su un tessuto armonico di sapore raveliano, per poi cedere momentaneamente il passo a una sezione centrale di intenso pathos e dinamismo. Nel terzo movimento fanno il loro ingresso contagiosi motivi para-folcloristici (cui forse il titolo del pezzo, Ukrainian Quintet, allude) che si snodano intorno a ritmi pungenti e a dialoghi serrati tra gli strumenti. Il quarto e conclusivo movimento si apre in tono declamatorio, dai cui prendono avvio una serie di episodi contrastanti, tenuti insieme dal tema intonato dalla viola, per poi risolversi in un trascinante e appassionato finale. Proprio a Lyatoshynsky è dedicato il quintetto per pianoforte di uno dei più acclamati compositori viventi, Valentin Silvestrov. In questo lavoro del 1961 vi sono poche tracce di quel post-modernismo nostalgico e contemplativo che informa lo stile maturo dell’autore: qui a colpire sono le melodie spigolose, il linguaggio armonico ambiguo non privo di dissonanze, la densità contrappuntistica, caratteristiche che ne fanno un intrigante unicum all’interno della produzione del compositore ucraino. Il Simurgh-quintet di Victoria Poleva, nata nel 1962, ci proietta alle soglie del nuovo millennio (composto nel 2000, il quintetto è stato revisionato nel 2020). Il lavoro, scritto in un unico movimento, è inscrivibile nella macro-categoria del minimalismo sacro – cui lo stesso Silvestrov è stato più volte accostato – in ragione dell’andamento lento e rarefatto che domina la prima, e più estesa, parte del brano, che si sviluppa a partire dalla ripetizione di sequenze accordali lievemente dissonanti, che quando sembrano destinate a spegnersi cedono il passo a un improvviso sbalzo di energia generato dagli archi, accompagnati da figure pianistiche che ricordano il canto degli uccelli. Una pagina da cui promana un affascinante senso di mistero e di spiritualità, che conclude come meglio non si potrebbe questo stupendo viaggio nella musica da camera ucraina del XX e XXI secolo.
Voto: 9