(Discus 2022)
Non c’è due senza tre. E dunque dopo i primi due lavori piuttosto convincenti del 2018 e del 2019, ecco il terzo album del gruppo capitanato dal bassista belga Guy Segers. Un’atmosfera di dubbiosa inquietante incertezza aleggia sin dalle prime note del primo brano, Disquiet. Anzi, il dubbio che compare nel nome stesso del gruppo, e che qui si manifesta anche nel titolo del disco, permea l’intero lavoro, e anche la mia valutazione. Improvvisazione radicale e jazz d’avanguardia si incontrano – nello spirito eclettico dell’ensemble – con il progressive rock proposto dalla compagine orchestrale numerosa, e capace pertanto di offrire un sound abbastanza diversificato e vario. E senz’altro numi tutelari come gli Zorn, gli Zappa, gli Henry Cow, che fanno capolino tra le note, sono riferimenti culturali importanti, la cui eredità fa piacere riascoltare. Eppure il dubbio resta. A volte il disco sa di qualcosa di scolastico, di troppo ripetitivo, di forzatamente già sentito. Ovviamente si replicherà: e che cosa non suona già sentito oggi? Beh, alcune produzioni musicali, pur avendo qualcosa di già sentito, suonano però fresche, o creative, o comunque senza dare l’impressione di un qualcosa che rischia di suonare stantio, e l’essere già sentite non pesa. Qui invece un pochino sì. Insomma, rispetto ai due album precedenti, questo sembra un passo indietro, un passo verso l’espressione di un giudizio estetico dubbioso e incerto. La qualità c’è, eppure… boh. Ho qualche dubbio.
Voto: 5,5