(Stradivarius, 2021)
Bruno Maderna rappresenta indubbiamente uno dei più interessanti compositori italiani del ‘900. Formatosi nella scuola di Malipiero e Scherchen incontrò successivamente molti altri compositori, protagonisti delle rivoluzioni del XX secolo, soprattutto ai corsi estivi di Darmstad, come Pierre Boulez, Olivier Messiaen, John Cage, Karlheinz Stockhausen, che influenzarono il suo stile più maturo. Il suo stile cambiò nel corso della sua maturazione musicale, passando dal neoclassicismo modale, all’espressionismo atonale, al dodecafonismo, al serialismo. Fu anche maestro di Luigi Nono e collaborò con Luciano Berio, un esponente fondamentale della musica italiana del Novecento.
Stradivarius pubblica l’incisione della prima esecuzione mondiale live, postuma del suo ‘Requiem’. Quest’opera era andata perduta e fu ritrovata solo nel 2006 alla Purchase Library della New York University. Dopo la revisione della partitura essa fu eseguita al Teatro Fenice di Venezia con i solisti il coro e l’orchestra del Teatro La Fenice, diretto da Andrea Molino. Un ritrovamento prezioso ed un’esecuzione unica di una composizione molto complessa ed interessante. Scritta nel 1946, quest’opera è una evidente riflessione sulle atrocità della guerra appena terminata. Un ‘Requiem’ che porta in sé la cupezza e l’inquietudine di quel terribile periodo e canta la memoria dei tanti morti. Lo stile giovanile del compositore, lo scrisse a soli 26 anni, fa trapelare gli influssi stravinskyani e le cupe rimiche di Orff. Un oscuro preludio corale apre al Kyrie, stupendo nella sua intensità, in cui le linee vocali si incrociano sopra ostinati dell’orchestra, per poi rifluire in splendidi corali più elegiaci. Segue un potente, apocalittico Dies Irae, lunghissimo, oltre 22 minuti, in cui l’esplosione ritmica la fa da padrone; un brano intenso, fosco, lugubre, seguito da un Domine Jesu che l’ostinato iniziale rende tenebroso e pesante. Il Sanctus ancora venato di grande ritmica lascia poi spazio alle più riflessive ed introspettive Benedictus, Agnus Dei, Lux Aeterna, sempre dense, ombrose e ricche di pathos. Il Libera me conclusivo esplode nella parte centrale in lampi trepidanti che ricordano i ‘Carmina Burana’ di Orff, sino a spegnersi lentamente, perdendosi nel silenzio della memoria. Una grande riflessione interiore, sulle atrocità della guerra. Un’opera da ascoltare con grande tensione emotiva.
Voto 8,5