Intervista con Jim Fox, fondatore e direttore della Cold Blue Music

La Cold Blue Music è una casa discografica americana dedita alla musica contemporanea, che cerca di approcciarsi al variegato mondo di suoni in cui siamo immersi proponendo attraverso le sue uscite una musica definita dal fondatore Jim Fox “sensuale”, capace di stuzzicare in maniera discreta e raffinata le orecchie e la mente attraverso un approccio diretto e mai invasivo. Come per la Innova Recordings, Kathodik segue da molto tempo la label, recensendone le uscite discografiche ritenute più intriganti dalla redazione. I critici di musica contemporanea hanno individuato nel minimalismo e post-minimalismo della West Coast il target principale della Cold Blue, sebbene questa sia una caratterizzazione che, nel corso dell’intervista, sarà spesso messa in discussione dal diretto interessato. Anche questa volta in redazione, con Filippo Focosi, abbiamo pensato ad un approfondimento attraverso la forma dell’intervista a Jim Fox – fondatore e direttore artistico della label, oltreché compositore egli stesso – per farci raccontare il passato, il presente e il futuro della Cold Blue Music. A voi la lettura:

Qui trovate l’intervista in Inglese

Come è nata l’idea di fondare la Cold Blue Music negli anni ‘80?

Tornando indietro nel tempo a quando ero un teenager nei lontani anni ‘60, sono allora venuto a conoscenza di diverse etichette discografiche, in particolare quelle che a quel tempo erano specializzate nella nuova musica (ESP, Mainstream, Time, Nonesuch, Odyssey, Advance, Saturn, Impulse!, Actuel, Shandar, Delmark, e molte, molte altre), e mi sono reso conto di come le migliori di esse avessero un suono che le distingueva – un suono “curato”.

Ma nello specifico, il perché ho creato la Cold Blue non è mi è più particolarmente chiaro. Presumo che fosse semplicemente la cosa giusta da fare nei primi anni Ottanta. Ad ogni modo, avevo pochi soldi a quel tempo (lavoravo come commesso in un negozio di libri), pertanto, quando ho dato avvio alla Cold Blue, presto mi sono ritrovato a mangiare le confezioni di noodle [tagliatelle secche precotte] e i brodi giapponesi che venivano venduti per pochi centesimi a pacchetto.

Per quanto ricordo, il mio obiettivo per la Cold Blue era semplice: registrare musica che mi piaceva e che non aveva ancora raggiunto un’ampia fascia di ascoltatori. Per combinazione, questa si è rivelata essere principalmente musica della West Coast (dove avevo vissuto dalla metà degli anni Settanta), musica di compositori dei quali si può forse dire che fossero vagamente accomunati da un comune interesse per la sensualità di base della musica.

La Cold Blue non era stata concepita come una sorta di casa per una certa “scuola” di compositori, ma i critici da subito la etichettarono come tale. E chi sono io per rifiutare un pratico nomignolo? (“[La Cold Blue] è una invidiabile risorsa per quella può essere chiamata una parte della nuova ‘Scuola Californiana’… una casa discografica con un particolare punto di vista e dal gusto raffinato”, scrisse Joan La Barbara nel suo libro “High Fidelity/Musical America”. “La casa discografica [ovvero, la Cold Blue] definisce un certo ‘suono della California del Sud’, pulito, evocativo e inusuale, dai contorni emotivi malinconici”, scrisse un critico del LA Weekly).

Pertanto, nel creare la Cold Blue si andava avanti – pur tra qualche difficoltà – sempre armati di idee valide e buone intenzioni. Avevo insegnato Musica Elettronica a livello universitario, quindi avevo una conoscenza pratica delle tecniche elettroniche di produzione del suono. Il “senso degli affari” mi sembrava qualcosa che avrei potuto apprendere strada facendo. (Eppure a quanto pare ancora oggi esso mi sfugge). Anche se non sapevo praticamente nulla di industria discografica, avevo ben presente il ricordo di quando, da bambino, avevo visitato una grande fabbrica di dischi della RCA. (I suoni delle sue numerose presse per dischi, tutte insieme, erano la cosa più forte che avessi sentito a quell’età!).

L’attività della Cold Blue negli anni ‘80 è durata solo un paio d’anni. Attorno al 1985, la maggior parte dei miei principali distributori ha dichiarato bancarotta. Senza distribuzione, anche la Cold Blue è stata costretta a chiudere, proprio quando i CD stavano salendo alla ribalta. A proposito, sono stato uno degli ultimi tra i miei amici ad avere un lettore CD. Mi sembrava che i primi CD commerciali, prodotti intorno alla metà degli anni ‘80, avessero un suono aspro e poco invitante. Ma dopo qualche anno le tecniche di masterizzazione dei CD, come pure della progettazione dei convertitori digitali-analogici (DAC), degli amplificatori e dei filtri sui lettori CD, si sono perfezionate, il che ha fatto sì che anche i CD avessero un bel suono.

Perché hai deciso di rifondare la label?

Per quale motivo ho fatto ripartire la Cold Blue nel Dicembre 2000? Non è che nel frattempo avessi guadagnato così tanti soldi da sperperare. Una nuova etichetta musicale si era proposta per pubblicare alcune mie musiche, ma il contratto che mi aveva sottoposto era assurdamente penalizzante per il compositore. Esso infatti conteneva una sorta di “clausola di abbassamento”: più si vendeva, più bassa era la percentuale di royalty che mi spettava! Non erano i soldi che contavano per me; sapevo che i diritti d’autore a me spettanti sarebbero ammontati a pochi centesimi. Era il principio che, in questa situazione, mi dava fastidio. Così, con uno slancio di apertura mentale, ho chiesto ad alcuni compositori se fossero interessati ad avere la loro musica pubblicata sulla nuova Cold Blue, che sarebbe stata una reincarnazione di quella precedente, con l’aggiunta di nuove uscite e contratti più corretti e benevoli. Tutti quelli con cui ho parlato furono entusiasti dell’idea.

Così mi sono ritrovato di nuovo, sperando e riuscendo – me lo dico da solo – a pubblicare incisioni di musica di alta qualità da cui traevo godimento.

Vorrei anche ricordare che in quel momento mi interessavo sempre di più alle incisioni discografiche in quanto testimonianze musicali a sé stanti, e non come mere documentazioni di esibizioni dal vivo. Perciò mi è piaciuto lavorare su progetti discografici della Cold Blue che sarebbe stato difficile mettere insieme come pure esibizioni dal vivo; per questo mi sono dotato di un ottimo studio di processamento e montaggio, gestito da ingegneri nel cui “orecchio” ripongo molta fiducia. Uno di questi ingegneri, col quale ho lavorato alla maggior parte delle incisioni della Cold Blue dal 2000, è Scott Fraser, un collega con ottime orecchie e meravigliose intuizioni musicali.

E, mi preme precisare, personalmente credo nel pubblicare musica che sia accessibile, anziché costose edizioni limitate. Questo è importante per me, e vi dirò perché: da bambino, ho imparato molto sulla musica, in particolare sulla “nuova musica”, ascoltando i dischi, poiché il piccolo centro urbano in cui sono cresciuto, a Indianapolis (Indiana), non aveva dei luoghi per le esibizioni dal vivo di musica contemporanea, alla fine degli anni ‘60, quando ero al liceo e stava crescendo in me la passione per la nuova musica. Pochissima musica di compositori viventi trovava spazio nei palcoscenici della città in quel momento, e poche partiture e incisioni di musica contemporanea erano reperibili nelle biblioteche. Pertanto, ho frequentato assiduamente i negozi di dischi cercando musica “strana e insolita”, acquistando tutto quello che trovavo. Fare shopping nei negozi di dischi e andare alla ricerca di “nuova musica” divennero per me pressoché la stessa cosa.

Quali sono le ragioni in base alle quali hai deciso di concentrarti sulla musica classica contemporanea di marca minimalista e post-minimalista, in special modo quella proveniente dalla West Coast americana? Cosa rappresenta per te questo tipo di musica?

Odio questi termini perché – come “jazz”, “classica”, e molti altre denominazioni di generi musicali – non riescono in alcun modo ad avvicinarsi a esprimere la miriade di cose interessanti che musicisti che presumibilmente hanno certe “radici” (vale a dire, punti di partenza da cui salpare verso lidi sconosciuti) potrebbero ad oggi star facendo. Per molti anni mi sono rifiutato di usare questi termini. Ma più tardi ho cominciato ad accettare che tali parole potessero agire come una sorta di “maniglia” che certi ascoltatori possono afferrare per avvicinarsi più facilmente a musiche alle quali altrimenti probabilmente non si interesserebbero.

Piuttosto che parlare di “minimalismo” e “post-minimalismo”, preferisco pensare che la Cold Blue sia focalizzata su una musica spiccatamente sensuale – musica che stuzzica delicatamente le orecchie (magari con armonie interessanti, spesso ricche) e la mente (magari con forme avvincenti ma non sempre complicate), e lo fa senza gridare “Ehi, guarda cosa sto facendo!”

Mi piace anche pensare che ci sia, in un senso molto ampio, uno spirito percepibile di estasi (spesso un’estasi tranquilla o discreta) che attraversa la maggior parte delle proposte della Cold Blue.

A un altro livello, tendenzialmente apprezzo e desidero produrre musica il cui carattere dipenda per gran parte dal colore e dalla texture (non che questi siano necessariamente due elementi musicali separati). Mi piace anche quella musica che riserva sottili sorprese – sorprese nelle scelte delle note, sorprese nella strumentazione, sorprese nella forma, ecc.

Penso che una qualità che si potrebbe trovare/ sentire se si ascoltasse l’intero catalogo della Cold Blue sia una tendenza verso l’espressione diretta e lineare di idee musicali (il che, suppongo, potrebbe essere affibbiata, di sfuggita, ad alcune istanze di minimalismo e post-minimalismo musicale – inteso in senso ampio -, se si vuole ricorrere a etichette più abituali). Inoltre, sebbene questo non contrasti con la suddetta linearità, penso che vi sia un senso di mistero – di nuvole all’orizzonte – e forse anche di disagio o incertezza che aleggia intorno a molte produzioni della Cold Blue.

Infine, devo dire che non inizio mai chiedendomi se e in che modo una certa musica con cui vengo a contatto possa abbracciare o non abbracciare le qualità vagamente comuni che ho appena menzionato. (E certamente non inizio mai pensando a come una certa musica potrebbe o non potrebbe rientrare in determinate classificazioni). Spero di essere sempre alla ricerca di qualcosa che non sia troppo facilmente assimilabile alla restante musica della label, ma che allo stesso tempo sembri la prossima cosa più giusta da pubblicare.

Le produzioni della Cold Blue Music sono esclusivamente in formato cd e digitale. Del vinile che ne pensi? La consideri una opzione da sondare?

Sono cresciuto con il vinile. Le prime incisioni della Cold Blue, realizzate negli anni ‘80, erano vinili – EP e LP. Non sarei passato al CD se il vinile fosse stato ancora un mezzo di registrazione popolare quando ho riavviato l’azienda nel 2000. (Infatti, come ho detto nella mia risposta alla tua prima domanda, i primi CD commerciali non avevano, a mio giudizio, un suono particolarmente buono).

Mi piace anche l’idea (per quanto strana e sciocca sia) che dopo un grande sconvolgimento distopico sarebbe ancora possibile ricavare le informazioni musicali di base da una registrazione in vinile, anche una deformata, semplicemente girandola su una matita e tenendo un ago nella scanalatura, ponendovi accanto l’orecchio. Le informazioni – le onde sonore – sono state incise fisicamente nel vinile. Questo è simile all’antica ceramica greca, della quale è stato recentemente scoperto che conteneva graffi/scanalature causate dallo stilo del vasaio, che raccoglieva le vibrazioni sonore delle voci di coloro che erano [a lui] vicini nel mentre stava lavorando al tornio.

Ma, per me (per la Cold Blue), è difficile tornare al vinile in questo momento. Inoltre, penso che le registrazioni digitali più avanzate, realizzate su CD accuratamente masterizzati – come credo tutti i CD Cold Blue siano – abbiano un suono molto, molto, molto buono. E la pura e vecchia verità è che sto invecchiando, quindi portare in giro scatole pesanti di dischi in vinile sembra poco invitante. Inoltre, ad oggi, i CD Cold Blue sono confezionati solo in cartoncino (e non in contenitori di plastica) – come lo sono stati negli ultimi 10 anni – quindi ritengo che il loro impatto ambientale sia piuttosto ridotto.

Quello che mi sembra davvero un peccato per quanto riguarda i file digitali, in particolare quelli che vengono venduti e riprodotti via Internet, è che le persone li ascoltano su altoparlanti singoli a bassa fedeltà o con cuffie a bassa fedeltà. A un certo punto, nel corso degli ultimi dodici anni, molti ascoltatori hanno rinunciato ad avere un sistema stereo che producesse almeno una versione un po’ ragionevole dei suoni su di esso riprodotti. Lavorando con i miei ingegneri del suono, passo molto tempo a far sì che ogni album della Cold Blue abbia un suono eccellente in quanto registrazione stereofonica a gamma completa, pertanto mi dispiace che alcune delle persone che acquistano questi dischi non saranno in grado di sentire la bellezza del loro suono.

Cosa ne pensi delle coproduzioni tra label discografiche? Si tratta di una pratica utilizzata nella musica underground e sperimentale, ma meno presente nella musica classica. Pensi che sia un’ipotesi praticabile anche per la Cold Blue Music?

Penso che sia un’idea interessante. Se arrivasse il progetto giusto, insieme a una label con cui ci si trovi in sintonia, potrei voler fare qualcosa del genere.

Come si muove la label sui social?

Non sono entrato in sintonia coi social media. Io stesso non sono una persona da social media, e dal momento che la Cold Blue è, nel bene o nel male, una propaggine diretta di me (dei miei gusti e interessi), nemmeno la label è particolarmente attiva sui social.

Avevo una pagina Facebook della Cold Blue (ancora visibile) che ho usato in modo molto semplice: davo notizia delle nuove uscite non appena diventavano disponibili, e comunicavo i concerti che la Cold Blue aveva organizzato (fino all’avvento della pandemia, la Cold Blue produceva due concerti all’anno a Los Angeles). Ma, ahimè, qualcuno si è appropriato della mia pagina personale di Facebook circa un anno fa, e quella pagina era necessaria per aggiungere o modificare informazioni alla pagina della Cold Blue. Così, la pagina Facebook della Cold Blue è rimasta ferma, senza avere aggiornamenti durante l’anno scorso. (Ho scritto più volte a Facebook, cercando di recuperare la mia pagina, ma non hanno mai risposto alle mie richieste; ho anche chiesto l’aiuto di persone che avessero contatti con quell’ambiente, ma nemmeno loro sono riuscite a risolvere il mio problema).

Come immagini il futuro della musica contemporanea?

Nessuno può rispondere a questo tipo di domande. Se ci guardiamo indietro, le dichiarazioni in merito che sono state fatte nel passato sono inevitabilmente sbagliate e spesso piuttosto sciocche. E io di certo non sono uno che vuole dire a chiunque altro come dovrebbe suonare la propria musica o come la dovrebbe realizzare.

Ma, volendo fare un puro esercizio di fantasia, mi immagino che [la musica del futuro] andrà in tutti i tipi di direzioni – sia direzioni interessanti e meravigliose che mi piacciono, sia direzioni banali o “logore” che non mi piacciono.

Quali progetti ha in cantiere la Cold Blue Music per i prossimi anni?

Questo mese (giugno 2022) pubblicherò un altro nuovo album di John Luther Adams, ‘Houses of the Wind’, un nuovo pezzo elettronico in cinque movimenti costruito con i suoni di un’arpa eolica (arpa a vento) “strimpellata” dai venti artici [N.d.R.: potete leggere la nostra recensione del cd qui: https://www.kathodik.org/2022/09/30/john-luther-adams-houses-of-the-wind/]. E la prossima primavera spero di avere pronto l’album con i bellissimi quartetti d’archi di John, eseguiti dal grande JACK Quartet. (Il JACK Quartet ha realizzato altri tre album per la Cold Blue con la musica di John: ‘Lines Made by Walking‘, ‘Everything That Rises‘ e ‘The Wind in High Places’).

Nello stesso periodo sarò in studio per alcuni giorni con un mio vecchio amico, il meraviglioso super-percussionista Willie Winant (https://williamwinant.com), per registrare un nuovo album composto principalmente da musica di Michael Byron risalente alle prime fasi della sua carriera. Sarà un album maestoso, ricco di risonanze e rintocchi possenti –si tratta infatti di musica per più marimbe, campane, vibrafoni, pianoforti, e altro ancora. (Byron ha già pubblicato diversi album con la Cold Blue).

Abbiamo anche un nuovo, intrigante album di Peter Garland in uscita questo autunno: Willie Winant che esegue una composizione di Peter per vibrafono solo, in più movimenti, che copre l’intera durata dell’album, ‘The Basketweave Elegies’ (anche Peter ha già pubblicato diversi album con la Cold Blue).

A giugno sarò in studio per qualche altro giorno anche per registrare un nuovo album contenente tre pezzi per pianoforte di Nicholas Chase: due lavori solisti e un pezzo a quattro mani. (Il precedente album di Nicholas per la Cold Blue, uscito qualche anno fa, è l’affascinante ‘Bhajan’, per violino ed elettronica interattiva).

E in futuro, non so ancora esattamente quando, registrerò un po’ dei miei piccoli (generalmente molto brevi) pezzi per pianoforte, da quelli più datati a quelli più recenti.

Infine, sto lavorando a ‘Cold Blue Three’, un’altra antologia di pezzi brevi, originali e inediti (molti dei quali sono stati scritti appositamente per l’album) di una dozzina circa di compositori. Sono particolarmente attratto da questo tipo di progetto, perché mi piace destreggiarmi con lavori diversi e scegliere l’ordine con cui saranno presentati nel CD. Nel carattere e nel “respiro” della musica, sarà simile all’album ‘Cold Blue Two’, anch’esso una raccolta di pezzi originali (la maggior parte dei quali sono stati scritti appositamente per l’occasione), uscito qualche anno fa.

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