Ho incrociato l’artista Elli de Mon, cantante, polistrumentista, one woman band, più di una volta nei miei giri da spettatore per festival e club. Poliedrica musicista, appassionata studiosa e ricercatrice, da tempo persegue una suo interessante percorso dentro e fuori la storia della musica, dal blues al garage rock, al punk, inteso come attitudine esistenziale e performativa. Quando un po’ di tempo fa ho acquistato la sua doppietta: il libro ‘Countin’ the Blues. Donne indomite’ e il disco ‘Countin’the Blues – Queens of the 20’s’, mi sono detto che era giunto il momento di scambiarci quattro chiacchiere digitali per approfondire la comprensione della sua arte e della sua poetica. Elli de Mon ha accettato di buon grado, e così ecco a voi la chiacchierata.
Quali sono i tuoi natali musicali? In particolare come è nata l’idea di suonare la chitarra? Perché hai scelto questo strumento?
Ho una storia musicale un po’ schizofrenica… la chitarra l’ho imbracciata da piccolina, ma poi ha preso il sopravvento il contrabbasso, strumento in cui sono diplomata. Ho bazzicato per molti anni nella musica classica occidentale… e contemporaneamente in quella orientale. Diciamo che i miei 20 anni non li ho passati a fare festa, ma da nerd a studiare il contrabbasso e il sitar, andando anche in India. Nel frattempo non ho abbandonato la chitarra… ma l’ho ripersa per bene in mano solo quando la classica mi ha fatto sclerare del tutto.
Come nascono i tuoi brani?
Sicuramente dalla melodia. Ho un approccio modale alla musica, quindi molto nasce da temi melodici che mi passano per la testa.
A chi ti inspiri quando componi?
A un sacco di cose! Dipende da come mi sveglio alla mattina, ma sul serio l’ispirazione può nascere da un brano gregoriano, da un raga indiano o da un giro dei Kyuss.
Raccontami del tuo libro ‘Countin’ the Blues. Donne indomite’, dove hai approfondito le vicende artistico-esistenziali di valide e importanti musiciste afroamericane, degli inizi del Ventesimo secolo, ma poco conosciute al pubblico. Un altro libro che mi viene in mente, che ho acquistato quasi contemporaneamente al tuo, è stato quello di Roberto Menabò ‘Mesdames a 78 giri. Storie di donne che hanno cantato il blues’. Come è nata l’idea del libro? Come hai scelto l’Arcana Editrice?
Grande Roberto! Uno dei migliori chitarristi che ci sono in circolazione per quanto riguarda la chitarra primitive.
L’idea del libro mi è nata ascoltando proprio le canzoni di queste artiste, leggendone i testi pazzeschi, le loro storie. Cercando materiale su di loro mi sono subito accorta di quanto poco ce ne fosse, di quanto siano state trascurate da tanta storia della musica. Nel mio piccolo ho voluto rendere a queste artiste un po’ di giustizia. Devo essere sincera… non ho scelto l’Arcana, non essendo esperta del campo editoriale ho semplicemente guardato nella mia libreria quali fossero le case editrici più comuni che trattassero argomenti quale quello che io avevo scelto. Ho quindi scritto ad Arcana e mi hanno risposto dopo un paio di giorni… io assolutamente non me lo aspettavo!
Hai pensato prima al libro e poi hai registrato il disco ‘Countin’the Blues – Queens of the 20’s’ oppure l’inverso?
L’inverso. Per me tutto nasce prima dalla musica. Proprio suonando i loro brani mi è venuta poi l’idea del libro.
Dal tuo punto di vista di studiosa e musicista, pensi che la percezione del Gender Gap nella musica stia cambiando, anche attraverso la ricezione del tuo libro? C’è stata e continua ad esserci una voglia di riscoperta di valide artiste che non sono state capite e apprezzate al loro tempo?
La percezione sta cambiando, ma il lavoro e i passi da fare sono tantissimi. Non credo che il mio libro di per sé abbia cambiato qualcosa, piuttosto si inserisce in un movimento più grande, globale.
In altri paesi la condizione della donna è guardata come una questione seria e ci sono politiche che mirano a ridurre questo Gender Gap. In Italia, purtroppo, siamo ancora lontani da questo traguardo, sia a livello culturale che politico. Ovvio che tutto ciò si riflette nella musica. La questione è complessa, ci sono sicuramente molte più donne nell’industria musicale, ma ciò non basta. Bisognerebbe agire in modo sistemico a livello culturale, ma finché il lavoro nella musica non sarà ritenuto un mestiere come un altro (come quello del medico, dell’avvocato, dell’operaio, ecc., ecc.) abbiamo ben poco di cui parlare.
Torniamo al disco: com’è stato incidere per l’etichetta Area Pirata? Come ti sei trovata?
Molto bene! Abbiamo instaurato un bel rapporto e la collaborazione continuerà.
C’è un articolo del dodicesimo numero di una fanzine francese, Chéribibi, curata da Daniel Paris-Clevel, il curatore, che ho intervistato per Kathodik (qui). Nella fanzine Daniel scrive un bell’articolo sulle donne del Rock’n’Roll, intitolato ‘Les Femmes ont inventé le Rock’n’Roll’: tra le tante, Big Mama Thorton, Sister Rosetta Tharpe, Julia Lee, Peggy Jones aka Lady Bo, che ha contribuito a modellare il classico suono di Bo Diddley, Cordell Jackson e la sua pioneristica label Moon, Barbara Pittman. Potrebbe essere un’idea per un tuo nuovo disco. Che ne pensi? Ti ho fornito uno spunto interessante?
Azzzzzzz… hai praticamente fatto uno spoiler!!!!!
Da quello che leggo sulla tua pagina Facebook sei continuamente in tour. Questo ti permette in un certo senso di avere un punto di vista privilegiato sulla scena italiana attuale sia a livello di locali, spazi, situazioni in cui suonare, sia a livello di artisti che incroci nei tuoi viaggi. Come vedi questa scena a livello di rapporti umani e professionali?
La scena attuale è piena di bravi musicisti e di gente che si sbatte per portare la musica dal vivo. Purtroppo quest’ultimo è un tasto molto dolente, il Covid ha ammazzato un sacco di realtà. Non solo: negli ultimi anni (anche prima del Covid), la musica dal vivo soffre enormemente. I club e circoli culturali spesso non ce la fanno. Credo che non ci sia stato un ricambio generazionale nel pubblico, o che, semplicemente, una certa scena non sia più attrattiva per chi ha meno di 30/35 anni. Io stessa frequento concerti dove l’età media è alta. Forse è la fine del rock n’roll?
Riprendo letteralmente la domanda precedente e la estendo alla scena europea. Quali realtà secondo te stanno reagendo meglio alla difficile ripartenza post-Covid?
Sicuramente il nord Europa e la Francia… e fatalità sono paesi dove la cultura è realmente supportata dalla politica. Parliamo di stati dove esiste l’indennità di discontinuità e quindi la professione artistica (sia essa stessa quella di musicista, attore o scenografo…) è riconosciuta. Dove la gente che risponde “musicista” alla domanda “Ma tu che lavoro fai”, non si sente ripetere “No ma qual’è il tuo vero lavoro?”…
Con chi ti piacerebbe collaborare?
Con un sacco di gente… ma chissà..
Domanda finale: come vedi il tuo futuro tra musica, scrittura dei libri e tutto il resto?
Mah… se tutto va bene diventerò dipendente statale a tempo pieno il prossimo anno. Quindi musica e scrittura non avranno tutte le mie attenzioni. Sembra brutta messa giù così, ma in realtà sono convinta che un lavoro a tempo pieno (non nella musica) potrà solo che restituirmi più libertà a livello artistico: vorrà dire che non accetterò nessun compromesso, perchè libera (economicamente) di farlo. Sarò ancora più intransigente insomma. Ancora più testa di cazzo eheheh!
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