(Discus Records 2022)
Hildegard Von Bingen, o meglio conosciuta come Santa Ildegarda da Bingen, ci riporta nel lontano Medioevo. La sua figura fu una autentica boccata di aria fresca in quegli anni cosi oscuri: investì l’abito della monaca benedettina, votata ad una fede mai vacillata, ma con un occhio diverso dai suoi contemporanei, più incline al verbo del nuovo. Curiosa del mondo circostante, delle scienze, e delle arti tutte, fu mistica raffinata, profetessa, ma anche cosmologa, guaritrice, linguista, naturalista, filosofa e incarnò il ruolo di prima donna compositrice e musicista che la storia cristiana ricordi. Le sue note erano affini al modus operandi dei Canti Gregoriani, ma svelava già una sua peculiarità, caratterizzata da un pathos per i ritmi irreogolari, pregni di “un’enfasi non convenzionale, combinando testo e musica con risultati di grande effetto“.
Non vi è quindi da meravigliarsi se il mondo dell’improvvisazione radicale abbia deciso di ricordarla con un album che, seppur bagnato da attimi di monotonia, si fa sentire con una certa curiosità.
Il duo Brackenbury / Bianco non è nuovo a collaborazioni, e “Rising Up” uscito sempre per Discus nel ’21 lo testimonia; la prima è una violinista e cantante che alla bisogna abbraccia anche viola, effettistica a pedali, mentre il secondo, americano di nascita ma inglese di adozione, è un batterista veterano della scena freeform d’Albione che ha collezionato sin’ora diversi flirt più o meno brillanti (Paul Dunmall, Dave Liebman, Loz Speyer…), il quale in questo frangente suonerà inoltre con un set di percussioni, sfiorando qui e là anche la tastiera. La partenza è un tantino statica: Hymn Of Hildegard cammina su tempistiche troppo lunghe, basando la propria ragion d’essere su canovacci armonici tradizionali di stampo anglofono e su cui Bianco esegue in sordina un costante drumming freeform ma che, alla lunga, risulta essere un tantino monocorde, difettando anche nella registrazione, nebulosa e poco chiara. O Frondems Virga schiude la sua anima mediante la vocalità celtica della Brackenbury, ma è solo un lampo inziale che dopo un pò sfuma dentro contesti armonici simili a quelli del brano precedente. Sara l’abito più minimal di O Quam Mirabilis a farsi apprezzare di più, poggiato ad un catartico gioco di reiterazione melodica dove sia la voce che il drumming free trovano una collocazione più originale e dove le pulsioni meditative si fanno ammirare di più. Placement and Resolve si fa notare per un dialogo serrato tra una viola elettrificata e una ritmica disimpegnata e jazz, facendo crescere in lontananza suoni di piano sempre più evidenti. Non male. In Cherubim’s Sword sembra di sentire un Max Roach rutilante aprire la strada ad una scenografia sempre più tinta di improvvisazione jazzistica. Un copione melodico che andando avanti nella seconda parte del lavoro sarà sempre più evidente. Abbiamo quindi un disco diviso in due parti, una prima legata maggiormente a colori tradizionali, una seconda più incline a sfoggiare il piacevole lato irregolare della improvvisata. A vincere è nettamente la parte finale, mentre un lato sfavorevole di tutto il lavoro sono i tempi quasi sempre troppo dilatati di tutti i brani. Sono convinto che soluzioni più rapide, sintetiche avrebbero condotto ad un risultato più soddisfacente. Ma, a parte ciò, resta una buona occasione per conoscere questa figura mistica così remota che non fa che confermare l’estro creativo e la grandezza in ogni epoca sfoggiata dal gentil sesso. Le donne avevano, hanno e avranno sempre una marcia in più… su tutto!!!
Voto: 6,5