(Populist Records 2022)
Per approcciarsi alla voce di Odeya Nini ci si potrebbe servire di una formula alchemica che vedrebbe quali ingredienti magici l’introversa potenza di Diamanda Galás, la cangiante espansione etnica di Lisa Gerrard e, volendosi spingere verso anfratti più accademici, i mille toni vocali di Cathy Berberian. A questo punto potremmo già dire di aver svelato i punti forza di “Ode”, ma sarebbe un errore non menzionare l’originalità che copre queste tracce di solo voce e qualche pulviscolo di elettronica qua e là, perchè la cantante ha il pregio di esibire una svariata gamma di timbri e vocalizzi con discreta maestria: saprà essere pungente spingendosi verso altezze tonali inviolabili (Lala); riuscirà a mescolare tali altezze con vocalizzi ridotti all’osso, ansimanti ed eroticamente instabili (la magica irrequietezza in Double Helix diretta verso un climax finale soporifero); potrà scendere negli inferi oscuri della psiche mediante strutture ambientali isolazioniste (See Ma Tou che vede un plumbeo inserto dell’elettronica, ma anche la successiva Submerge); e infine riemergere in una austera forma di meditazione dove la voce nuda assume un senso di potenza e luminosità, facendosi appunto ode (la title track finale in cui le velate armonie etniche metà israelitiche, metà arabeggianti svelano inoltre le origini della cantante).
Unica pecca il taglio grafico dato all’album che potrebbe facilmente indurre con errore l’ascoltatore ad avere a che fare con materiali di patinata new age 2.0; naturalmente non badate alle apparenze, lasciandovi al contrario rapire senza remore da questo viatico di astrusa, complessa, limpida bellezza vocale.
Voto: 7/8
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