Sara Ardizzoni, in arte Dagger Moth, è un’artista eclettica che da tempo si è incamminata in una sua personale ricerca poetica, dedicandosi all’arte della composizione musicale con la sua fida chitarra sia sui palchi che in studio. Nel suo percorso discografico, contaminato dall’elettronica, ha collaborato con tantissimi grandi artisti, come Giorgio Canali, Joe Lalli dei Fugazi, Marc Ribot, Mike Watt, Hugo Race, e attualmente suona la chitarra con i Massimo Volume e con Cesare Basile e i Camminanti. Kathodik ha incrociato la sua strada grazie alla recensione, a cura di Vittorio Lannutti, del suo ultimo album ‘The Sun is a Violent Place’ (qui). Il passaggio dalla recensione a voler scambiare le mie consuete quattro chiacchiere digitali è avvenuto in men che non si dica, grazie anche alla disponibilità di Dagger Moth a rispondere alle mie domande. A voi l’intervista e buona lettura!
Quali sono i tuoi natali musicali? In particolare come è nata l’idea di suonare la chitarra? Perché hai scelto questo strumento?
(Foto in home di Davide Pedriali: WOOD) Eh… lunga storia! Mio padre suonava per hobby la chitarra, sia classica che elettrica, quindi gli strumenti erano sempre in giro per casa. Ma pur essendo un’ascoltatrice vorace e appassionata fin da bambina, mi rifiutavo di imparare a suonare. Appena il babbo ha desistito dal convincermi ho iniziato a prendere lezioni (perché il mio miglior amico si era iscritto a un corso di chitarra blues…) ma ero già più che adolescente. Ovviamente rimpiango di non aver iniziato da piccolissima… anche perché più invecchio più crescono amore e curiosità nei confronti delle sei corde.
Come nascono i tuoi brani?
Non ho un metodo di lavoro, le uniche componenti fondamentali sono avere le idee e il tempo. Raramente però un brano intero nasce di getto in tutte le sue parti, tendenzialmente se individuo una strada da seguire poi ci lavoro piuttosto meticolosamente.
A chi ti inspiri quando componi?
Onestamente a nessuno in particolare! Non ho mai dei riferimenti precisi, al limite mi capita, più o meno consapevolmente, di rimescolare tutto quello che ho ascoltato dall’infanzia ad oggi… ma le intuizioni possono nascere da qualsiasi cosa, dal preset di un effetto, da un esercizio, uno stato emotivo persistente, un libro, una passeggiata…
Come è nato il tuo ultimo disco ’The Sun Is A Violent Place’ in “isolamento” (recensito qui)? Come lo hai pensato? Come una forma di “resistenza” alla pandemia che imperversava in ogni dove?
Più che una resistenza alla pandemia, una resistenza a me stessa, al lasciarsi andare un po’ alla deriva. In generale davanti agli ostacoli provo a far di necessità virtù , quindi nei tempi dilatati di quel periodo ho intravisto un’occasione per metter mano alle molte bozze accumulate negli anni e nella solitudine forzata l’occasione per imparare a registrare tutto da sola, dedicandomi, più che in passato, a premix e produzione.
Dal tuo punto di vista di musicista, cosa pensi che la percezione del Gender Gap nella musica? Nello specifico come vivi il tuo essere musicista in rapporto all’attuale Industria musicale?
Beh per il tipo di musicista che sono direi che mi piazzo ben al di fuori dell'”industria musicale”, entità che ha dei confini alquanto vaghi di questi tempi… Quel che faccio e come lo faccio temo sia un po’ slegato dagli standard attuali del mercato. Ma fare un certo tipo di percorso è una scelta personale e di base credo che non esista una formula che possa funzionare per tutti.
Per quel che concerne il Gender Gap, ovviamente come in tutti gli ambiti professionali anche nel settore musicale c’è sicuramente da lavorare per migliorare la situazione e, in quanto donna, negli anni ho ovviamente collezionato una ricca e variopinta aneddotica. Tuttavia non credo che sia stato questo l’ostacolo maggiore incontrato nella mia personale esperienza, gli impedimenti son stati ben altri e ben più generalizzati… visioni stereotipate, conformismo, ottusità, arroganza, ipocrisia, mancanza di coraggio. Non sono nemmeno così favorevole all'”autoghettizzazione al femminile “, da musicista quello che mi interessa è essere libera e suonare al meglio delle mie possibilità, in contesti stimolanti e con persone da cui imparare, a prescindere da sesso, età o altri tratti distintivi.
Il tuo punto di vista sulla scena italiana attuale sia a livello di locali, spazi, situazioni in cui suonare, sia a livello di artisti che incroci nei tuoi viaggi. Come vedi questa scena a livello di rapporti umani e professionali?
Dal mio punto di vista in tutta sincerità non vedo “una” scena, se intendi un panorama coeso… è frammentato, frastagliato, anche nell’ambito “alternativo”. Ma direi che è normale, il territorio è vasto. Purtroppo questi ultimi due anni hanno indebolito una nicchia che già prima si nutriva di poche forze, prima di tutto della passione di chi ci lavorava. E hanno ulteriormente sminuito la musica come attività professionale.
Molti piccoli locali hanno chiuso e a livello di trattamento economico temo che la forbice mainstream/alternative al mainstream si sia ulteriormente allargata.
In generale mi pare manchi anche un po’ il senso di comunità e, per quanto io sia un cane sciolto, mi piace fare rete quando mi imbatto in realtà che sento affini e trovo intellettualmente oneste.
Poi c’è un mix di fattori che mi pare stia dando sempre di più il colpo di grazia alle realtà che proponevano contenuti non omologati ai trend del momento o che riuscivano a fidelizzare un pubblico sul lungo periodo… Un gioco al ribasso, generalizzando, che a livello di proposte artistiche raccoglie la complicità di varie categorie, musicisti, promoter, addetti al settore. L’inseguimento del risultato a breve termine. La capacità di ascolto in calo, perché messa sempre più a dura prova dal fatto che la musica come forma d’arte o di intrattenimento ha ormai una marea di alternative concorrenti. La confusione creata da anni spacciando per musica indipendente progetti che di indipendente non hanno assolutamente nulla. Ecc… ecc… Solo alcuni tasselli di una situazione piuttosto allo sbando.
Riprendo letteralmente la domanda precedente e la estendo alla scena europea. Quali realtà secondo te stanno reagendo meglio alla difficile ripartenza post-covid?
Purtroppo non conosco altre scene europee, bisognerebbe chiedere a chi le vive sulla propria pelle.
Con chi ti piacerebbe collaborare?
Lasciando da parte una lunga lista di musicisti che stimo (tipo dream team irraggiungibile…) da tempo mi piacerebbe inciampare nell’opportunità di lavorare a una colonna sonora o creare le musiche per una coreografia.
Classica domanda finale: progetti in cantiere?
Visto che il mio solo set è molto strutturato, soprattutto live, si fa abbastanza pressante la voglia di attivarmi con un progetto più libero e meno arrangiato, magari in duo…vedremo… 😉
Link: Sara Ardizzoni – Dagger Moth Home Page
Link: Sara Ardizzoni – Dagger Moth Facebook Page
Link: Sara Ardizzoni – Dagger Moth Instagram Profile