La mia conoscenza con la musicista Marianna D’Ama viene dalla collaborazione, attualmente in corso, per il festival ‘Oh-No! Songwriters’. Una sua idea, una rassegna dedicata al cantautorato femminile, che è si sposata perfettamente con l’idea che Kathodik, L’Osservatorio Di Genere di Macerata e La Soms, aka La Società Operaia di Mutuo Soccorso di Corridonia in provincia di Macerata, stavano rimuginando-progettando da tempo. Quindi è venuto naturale unire le forze per lavorare a questa rassegna che ha portato e porterà sul palco de La Soms: Sara Ardizzoni in arte Dagger Moth, la stessa Marianna D’Ama, e come ultimo appuntamento la musicista Elli De Mon con il suo nuovo disco. Da cosa nasce cosa e così ho pensato di scambiare le mie consuete quattro chiacchiere digitali con Marianna D’Ama, che ha accettato con piacere, per approfondire la conoscenza e la poetica di questa interessante artista. Come sempre a voi la chiacchierata.
Quali sono i tuoi natali musicali? In particolare come è nata l’idea di suonare la chitarra? E la Farfisa? Perché hai scelto questi strumenti?
(foto in home di Paolo Ceritano) Ora che mi ci fai riflettere, non credo di aver mai scelto davvero gli strumenti che mi fanno compagnia in camera, in studio e sul palco. Dopo svariati acquisti e amori folli con strumenti che non avrei mai potuto “domare” da autodidatta, una naturale selezione ha voluto che rimanessero con me la Farfisa (la prima acquistata per caso per sostituire un pianoforte ingestibile) e le chitarre (la mia prima è stata un valido sostituito a quel maledettissimo flauto che ci propinavano alle scuole medie).
Come nascono i tuoi brani?
Non saprei descrivere precisamente l’origine delle mie idee che poi saranno le fondamenta di ciò che forse diventerà un brano o semplicemente un ricordo.
Gli stimoli sono infiniti, ma lo sviluppo di essi è spesso limitato dalla mancanza di tempo, in questa vita che mi sfugge di mano tra lavoro e una serie infinita di priorità e distrazioni.
Ci sono idee che sono diventate brani in 5 minuti, altre che sperano ancora di vedere la luce, o forse nel rispetto della loro origine, magari rimarranno solo a risuonare nella mia stanzetta.
Non ho in mano il decalogo della cantautrice, la mia unica costante è l’ispirazione. Quell’ispirazione molto più Indie-pendente di me, intransigente molto più me, senza regole, difficile da gestire… Credo di non averti risposto 😉
A chi ti inspiri quando componi?
Mi lascio liberamente “contaminare”, nonostante io sia molto attenta a non cedere troppo all’imitazione delle mie influenze.
Il blues, il jazz e il soul mi hanno sicuramente indirizzato verso una rotta più definita. Più passano gli anni, più istintivamente vado a ritroso con gli ascolti inseguendo quell’attitudine e quell’autenticità che purtroppo non si insegna e che difficilmente oggi riesco a ritrovare nel bel mezzo di questa giungla musicale piena di animali in cattività.
Quando ascolto Billie Holiday o Nina Simone mi sembra di non aver bisogno di nient’altro. Quella miscela essenziale di purezza, verità, coraggio e una attitudine convincente diventa inevitabilmente una grande fonte di ispirazione.
Sono comunque curiosa di sapere chi secondo voi mi ispira quando compongo.
Dal tuo punto di vista di musicista, cosa pensi della percezione del Gender Gap nella musica? Nello specifico come vivi il tuo essere musicista in rapporto all’attuale Industria musicale?
Il Gender Gap nell’Industria musicale non è opinione ma indubbiamente un dato di fatto. C’è ancora moltissimo da lavorare, è una questione culturale, ci vorrà tempo e una grande lavoro su noi stesse, sulla consapevolezza delle nostre capacità senza mai dimenticare che in una cultura patriarcale come quella in cui viviamo, il nostro impegno e quello dei nostri “colleghi” deve viaggiare velocemente sullo stesso binario.
Dopo aver letto questa domanda, ho fatto di nuovo una breve ricerca per vedere come il Web reagisse a questo fenomeno.
E’ interessante leggere articoli sul Gender Gap nell’industria musicale, è lodevole che ci siano professioniste che continuino a far emergere questa criticità.
La cosa che mi delude di più però è che tutti i dati che emergono, soprattutto nelle webzine più vendute, sono solo tarati sugli stream di Spotify, sui dati delle major, sui followers dei social e le classifiche di Billboard. Un quartetto a mio avviso brutale.
E’ scontato ribadire che se faccio della mia sregolatezza un baluardo, della mia ispirazione un timer che scandisce le mie produzioni a sorpresa, di certo io non possa appartenere a nessun tipo di mercato discografico, men che meno a qualsiasi cosa che si avvicini al contesto a cui rimanda la lista di cui sopra. Quindi, una volta analizzati i numeri di un sistema del quale non faccio parte (e che secondo me non fa altro che incrementare il Gender Gap in quanto totalmente legato al mercato e a nessun tipo di valore), mi è sempre più chiaro che chi occupa posizioni strategiche e di potere condizioni i modelli di riferimento e detti gli standard, perché siamo noi che continuiamo a concederlo. Perché?
Abbiamo davvero bisogno della classifica di Billboard per capire quanto il Gender Gap oramai sia in ogni contesto sociale che viviamo? Perché gli stessi mezzi che ci tirano fuori dall’industria musicale devono diventare il parametro stesso per ribadirci una esclusione femminile annunciata? Questo approccio mi confonde.
Se davvero vogliamo trovare la forza per combattere “il sistema” (non solo del patriarcato) nella musica e nella vita dovremmo probabilmente tutt* ripartire dalle basi con grande saggezza, cultura e intelligenza.
Nel panorama indipendente, l’unico che frequento, credo ci sia una attenzione diversa e un ambiente molto più inclusivo. Quel Gap viene in gran parte riassorbito da quello che sento un intento comune, dare importanza alle persone, alla musica, alle cose belle, alla rete di connessioni umane che viene generata dalla musica stessa. La parola “industria musicale” nei contesti che vivo, non è mai stata più lontana.
Sarà per questo che certi tipi di “divari” non trovano terreno fertile?
Continuo a risponderti a suon di domande 😉
Il tuo punto di vista sulla scena italiana attuale sia a livello di locali, spazi, situazioni in cui suonare, sia a livello di artisti che incroci nei tuoi viaggi. Come vedi questa scena a livello di rapporti umani e professionali?
Torno sempre a parlare della dimensione che vivo personalmente, per rimanere coerente con quello che scrivo. In Italia non vedo una vera e propria “scena”. Quelle meravigliose sottoculture che hanno fatto la storia ormai non esistono più, o è bianco o è nero. Nessuna sfumatura. O ci sei o non ci sei. O riempi il locale di gente o non suoni.
Questa domanda mi porta a riflettere sull’origine di ‘Oh-No! Songwriters’ e rubare qualche riga per descriverla meglio.
Questa rassegna è stata fortemente voluta perché abbiamo sentito che mancavano proprio quegli spazi di cui parli. Era un atto dovuto per tutti quegli artisti e artiste meravigliosi e meravigliose, un pubblico speciale che c’è e come, per tutti quei contesti dove è ancora possibile esistere a modo nostro. Esistiamo anche se lontano dai grandi numeri e siamo in grado di connettere così tanto che ce ne rendiamo conto solo quando si spengono le luci dei piccoli concerti che cerchiamo di organizzare.
Io da questa parte cerco di fare il massimo per ri-creare quella scena dove musiciste e musicisti come me possano esprimersi e connettersi musicalmente, professionalmente e soprattutto umanamente, senza troppi fronzoli. Sentirsi a casa, in un posto sicuro, è quello che conta in fondo.
Come è nata la collaborazione con l’artista italoamericano Joseph Martone?
Molte casualità, su Instagram sono entrata in contatto con uno dei miei artisti preferiti, Timber Timbre, che aveva appena concluso la produzione del disco di Joseph, che vi consiglio vivamente di ascoltare, “Honeybirds”. È stato lui il tramite di questa collaborazione che ormai va avanti da quasi 4 anni.
Con chi ti piacerebbe collaborare?
Una domanda difficilissima. Potrebbe essere un elenco infinito.
Classica domanda finale: progetti in cantiere?
Il primo dischetto in italiano.
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