(Samo Records 2023)
La prolificità di Samo Salamon, non mi stanco di ripeterlo, è esuberante, onnivora, espansiva, felicemente tremenda. Qui suona un po’ di tutto – varie chitarre, acustiche ed elettrica, banjo, piano, moog, synth, basso – eseguendo sue composizioni basate sulle improvvisazioni alla batteria dell’israeliano Asaf Sirkis. Le acrobazie del duo spaziano tra vari generi – tutti però ben incardinati nelle pratiche improvvisative e jazz-moderniste, con un pizzico di orientalismo. Nonostante il nucleo generatore sia la batteria di Sirkis, a dominare la scena è comunque Salamon che dialoga con se stesso, in particolare facendo conversare banjo e chitarre. Pur se a risaltare è l’articolazione generale delle strutture musicali, e l’ariosità delle melodie (come in Song of the Woods), nelle 8 tracce dell’album non mancano, sarebbe strano il contrario, pregevoli assoli, grazie a cui il musicista sloveno esplora le diverse combinazioni sonore tra gli strumenti a corda (mi pare assai incisiva l’entrata della chitarra elettrica distorta in Bloom in Vain. Eppure non riesco a farmi piacere la carica timbrica del banjo, un po’ troppo ostentata; il suo protagonismo è eccessivo: il disco avrebbe giovato di un suo ridimensionamento.
Voto: 7,5/10