(Ants Records 2023)
“Chamber Music” è un ottimo lavoro di sound art coniato dal veterano della musica d’installazione Steve Peters, avventuroso compositore che da anni si è fatto conoscere per i suoi lavori con nobili label quali Cold Blue, 12k, e ora pure sulla nostra ANTS. Famoso per comporre musica direttamente sul luogo del misfatto, usando o meglio miscelando strumentazione semi-canonica con ciò che riserva l’ambiente circostante, anche questo lavoro segue questa scia di pensiero, ovvero forgiare “una serie di installazioni sonore derivate da un’unica registrazione effettuata negli spazi vuoti in cui vengono successivamente presentate. Durante la registrazione non è presente alcuna persona (me compreso), anche se alcuni suoni fuoriescono inevitabilmente dal mondo esterno. La registrazione della sorgente viene filtrata per isolare e amplificare alcune frequenze di risonanza della stanza, creando una serie di droni che sono l’unico materiale sonoro utilizzato; non sono coinvolti strumenti musicali. Il lavoro finito viene quindi riprodotto nello spazio a basso volume”. Le parole sono quelle di Steve Peters connesse all’opera in questione, il quale nell’’arco temporale che va dal 2005 al 2013 ha coniato dieci tracce eterogenee su forma e tecnica, presentandole poi nella resa finale su questo supporto. E allora ecco che incontriamo la materia tonale quasi liquida di Chamber Music I: Suyama dove si assiste ad un sottile gioco di contrasto tra suoni alti ed altri ovattati, proteso in generale ad acquarellare un climax di quiete mediante tonalità più discordanti. Una drones music che pare filtrare con l’improvvisata nella resa estetica, da una parte, andando ad ambire lidi più oscuri, meditativi e d’ambiente, dall’altra, come nel caso nella successiva Chamber Music II: Atrium, in cui un manto costante viaggia all’unisono, destando sensazioni ed emozioni crepuscolari. Preferisco molto questi momenti più dark, se così vogliamo definirli, ove si percepisce con nettezza il clima da viaggio sonoro. Lo stesso clima che, seppur in forma minore, ascolteremo anche in Chamber Music III: Silent Room, venendo qui colpiti da corpi sonori che all’improvviso preludono a rapaci parentesi di silenzio, ma anche a stati d’animo dove giocano a carte indecisione e paura. Tutto conta nella musica di Steve Peters, dall’ambiente in cui è registrata sino alla materia sonora esterna captata nella location, che involontariamente diventa parte integrante della opera. Anche altri fattori come la luce, più o meno forte, giocano un ruolo da prima donna in fase di registrazione. E sarà quindi un caleidoscopio altalenante tra solidificazione di materia e leggerezza dell’essere (Chamber Music IV: Filetered Light con quel senso di suono detto e non detto, esploso alla fine in un tappeto di costanza tonale, che può portare a pensare anche ad alcuni materiali di John Cage); tra bagliori di luminescente ambient music dai toni più classici e riconoscibili (Chamber Music V: Stained Glass e i suoi reconditi anfratti isolazionisti à la Paul Schütze); tra inserti del tono glitchoso e singhiozzanti (Chamber Music VII: Solar Ring) che rendono un non-so-che di serioso, a ricadute nell’estasi della metafisica mediante un originale intarsio di beep (Chamber Music VIII: Particles & Waves). Questi ultimi due assaggi potrebbero far pensare ad una visione ancora più matura della musica di Oval e Mouse On Mars rinsecchita da ogni chiarezza di ritmo. In poche parole è un disco di raffinata Sound Art che può strizzare l’occhio sia all’ascoltatore più allenato a dialogare con determinate sonorità ma anche aprire le porte a quei neofiti avventurosi e privi di preconcetti. Questo sarebbe possibile grazie allo sciame di relax interiore che queste installazioni portano con sé nell’anima. Tra i dischi più complessi e affascinanti ascoltati nella fine del 2023.
Voto: 8/10