(Helical 2023)
Le circostanze che mi hanno portato alla scoperta di “Musica Automata” sono piuttosto singolari. Un pomeriggio di un paio di mesi fa, mi trovavo all’Università di Macerata ad assistere a una lezione-concerto del grande pianista iraniano Ramin Bahrami, il quale, tra un preludio e una fuga di Bach, ammoniva i presenti a non lasciarsi traviare dalle lusinghe dell’intelligenza artificiale, e a guardarsi dal pericolo che le macchine, di qualunque genere, prendano il posto della creatività e dell’immaginazione umana. Applausi convinti di tutti (anche miei). Nello stesso giorno, di notte, mi sono sintonizzato (come mia abitudine) sulla trasmissione “Battiti” di Radio Rai 3, e ho intercettato una musica suonata interamente da macchine. Un’orchestra di robot. Proprio ciò che Baharmi temeva. Un ascolto entusiasmante. Altri applausi (solo mentali, stavolta) da parte mia. In verità ho scoperto solo dopo qualche minuto che si trattava di un’orchestra di strumenti che suonavano da soli, o meglio, seguendo il comando impartito dall’autore. Ma ero già rimasto colpito da una musica che non ero in grado di decifrare del tutto, ma aveva molti rimandi: mi faceva pensare a certi lavori di alcuni compositori del primo Novecento come Carlos Chavez o Edgar Varese per le ardite poliritmie e per l’uso massiccio e spettacolare delle percussioni; ma affioravano anche trame minimaliste e rimandi alla musica elettronica. A fine ascolto, apprendo che l’autore è un compositore sperimentale italiano, Leonardo Barbadoro, e che il disco si chiama, per l’appunto, ‘Musica Automata’. Dopo qualche giorno, ho acquistato il Cd (pubblicato dalla Helical) – di cui segnalo anche l’artwork di elevata fattura, in particolare la cover, che richiama il surrealismo vagamente inquietante delle illustrazioni di ‘The Wall’ dei Pink Floyd come pure le copertine dei primi album di Klaus Schulze – dalla pagina Bandcamp di Barbadoro (che vi linko qui sotto), e l’ho ricevuto in tempi brevi. L’ascolto dell’intero lavoro ha confermato le mie prime impressioni: le varie suggestioni che avevo rilevato si fondevano in un perfetto e singolare amalgama di sapore post-futurista, con l’elemento ritmico a farla da padrone. Se la prima traccia, che dà il titolo all’album ed è anche la più lunga (quasi dieci minuti), esibisce una costruzione formale di notevole interesse, il resto dell’album vede l’alternarsi di brevi interludi e brani di media durata dove, oltre alle complesse stratificazioni ritmiche, emergono anche temi melodici di immediata presa, talvolta venati di una soffusa malinconia (penso ad esempio a Hybr Spiro, di cui esiste anche un affascinante video dove vediamo gli strumenti – percussioni, sax, pianoforte – che suonano da soli). Un po’ come accade in alcuni lavori del maestro della techno-ambient, Aphex Twin, altro autore che mi è venuto in mente ascoltando questo Cd (penso soprattutto alla rilettura orchestrale di alcuni dei più iconici brani di AT proposta dall’ensemble Alarm Will Sound in un bellissimo disco della Cantaloupe di qualche anno fa). Delicate melodie e frenetiche progressioni ritmiche; strumenti tradizionali e file MIDI; musica acustica e musica automat(ic)a. Barbadoro si nutre di queste frizioni e le trasforma in risorse per la propria immaginazione, producendo una musica insieme originale e multisensoriale, destabilizzante e stimolante, complessa e accattivante. Anche i robot hanno – o meglio, possono avere, se guidati da mano sapiente e fervida fantasia – un’anima.
Voto: 8/10
Leonardo Barbadoro Bandcamp Page