(Stradivarius 2023)
“È sufficiente premere il tasto destro della pedaliera del pianoforte, e mi avviene qualcosa di miracoloso. Ascoltate: avviene come un respiro, e poi le corde sono libere perché gli smorzatori le lasciano. Trovo questa dimensione qualcosa di veramente speciale, che già mi proietta verso la musica. È come se il pianoforte perdesse i suoi confini e, in qualche modo, si aprisse al cielo.”
È così che Emanuele Pedrani introduce il suo ‘Walking on Air’, uscita Stradivarius di primavera 2023: un disco, dunque, nato essenzialmente dalla fascinazione per il pianoforte, inteso come labirinto di risonanze, echi, componenti e materiali ancora prima che come strumento. Un’opera intimista, germinata – secondo le dichiarazioni dell’autore – nel corso dei mesi di solitudine della pandemia di Covid e conseguente lockdown. Ma anche dalle “notti insonni dopo concerti sinfonici e innumerevoli tour, trascorse con amici e colleghi sui pianoforti delle lobby di hotel dell’intero pianeta”.
Un disco, dunque, “one man, one piano”, in cui la spontaneità prevale sul concept e in cui confluiscono fluidamente esperienze di vita (soprattutto giovanili). Il progetto biografico, in ogni caso, non sembra perseguito con particolare energia, e sembrano influire maggiormente gli ascolti e le influenze del musicista: “i pomeriggi passati ad ascoltare la classica e i grandi musicisti del jazz, nel tentativo di riprodurre le loro incredibili armonizzazioni; di rubare, di possedere e comprendere la padronanza della loro arte”. L’opera infatti si nutre di suggestioni piuttosto variegate, che vanno dal jazz, al Waltz, alla grande tradizione pianistica della musica colta a ispirazioni etniche, soprattutto dell’est.
Per quest’ultima fatica Pedrani lascia da parte, tuttavia, il suo prodigioso tecnicismo per concentrarsi interamente su un programma giocato sulle sonorità – specialmente quelle pulitissime e limpide associate, appunto all’elemento dell’aria, con tutte le sue implicazioni simboliche.
Questo perché un’ispirazione importante da questo lavoro viene anche dall’esperienza dell’autore come contrabbassista alla Scala, che nutre la sua musica con la “inesauribile fonte di bellezza” che è l’orchestra, la cui assenza è compensata dalla maestria di Pedrani compensa con la sua maestria del pedale.
Dunque, da ‘Walking on Air’ non bisogna aspettarsi tanto stupefacenti giochi di dita, glissando vertiginosi (che compaiono comunque saltuariamente) o argute sperimentazioni armoniche: i momenti più suggestivi dell’album sono costituiti da linee melodiche cristalline, giocate sull’acuto, e accordi ariosi e distesi. Oppure, ancora più magici, quelli in cui il nostro accarezza direttamente le corde dello strumento.
La spontaneità che caratterizza l’album finisce tuttavia a costituirne il maggiore limite. ‘Walking on Air’ pecca indubbiamente di scarsa temerarietà. Sebbene Pedrani ci prometta un’opera ricca di “situazioni e contrasti – come del resto la vita”, il tono del disco cambia poco nel corso dei suoi 12 brani: trasognato, sentimentale, intimista. Ma senza osare troppo. Gli stessi titoli dei brani tendono a rimandare a persone o animali, come Waltz for Dessy o Luna (la mia boxerina) o viaggi (Japan days), in un clima di serenità famigliare e privata che finisce a rendere l’esperienza di ascolto dell’album vagamente indifferenziata. I pezzi che spiccano, non a caso, sono quelli che osano di più: su tutti, l’opener Walking on Air, aperto suggestivamente dal brusio atonale delle corde del piano, coerentemente al tema del disco, tra i pochi brani che riesce davvero ad essere struggente (Japan days ci si avvicina molto). Film presenta un tema melodico un po’ stucchevole, ma irresistibile. In Frenetica seven, Pedrani sfodera tutte le batterie del suo tecnicismo in un crescendo avvincente. Un movimentato esotismo spicca in China in here (in cui l’Oriente viene evocato – un po’ alla Debussy – ricorrendo saltuariamente allo “stereotipo pentatonico”). Nestinarka è il brano che raggiunge la maggiore varietà interna, di stili quanto di stati d’animo. Il pezzo più interessante dal punto di vista concettuale è la Ninna Nanna che chiude il disco, una nenia toccante che – come il carillon – si riavvolge su sé stessa, per dissolversi prima della risoluzione.
Gli altri brani sono invece talvolta offuscati da un impianto accordale un po’ semplice, il ricorso a un emotivismo un po’ naive e da armonizzazioni che strizzano forse l’occhio a Bill Evans di Nardis senza eguagliarne la fascinosa ambiguità.
Ma forse sbagliamo ad aspettarci rivoluzioni epocali in un disco il cui intento (dichiarato) è quello di ritrarre la celeste estasi del suonare, o nelle parole dell’autore “lo stato di elevazione particolare che avviene quando si fa musica”.
L’impressione generale è quello che si ha quando, una stanza buia e con poca gente si assiste al “concerto privato” di un pianista profondamente innamorato del suo strumento, che improvvisa per il piacere di farlo – più che per sé stesso, che per gli altri. Un’esperienza magica, insomma, che è per molti un ricordo indimenticabile. Purtroppo, la magia di momenti del genere raramente si può trasmettere su disco.
Lasciamo dunque Pedrani camminare sull’aria, irraggiungibile, sfogando la sua anima sullo strumento. E immaginando di essere lì, lascerà anche noi trasognati, immersi nei nostri ricordi.
Voto: 6,5