(Aut Records 2024)
Registrato in 48 ore presso lo Emil Berliner Studios di Berlino, dal bassista norvegese Dan Peter Sundland questo quartetto a suo nome comprende Philip Gropper al sax tenore, Antonis Anissegos al piano e alle elettroniche, il ritmo alla batteria di Steve Heather, presentandosi quale realtà matura nello scolpire una improvvisata distaccata dai consueti cliché della rigidità monocromatica, facendo leva su di un mix di espressioni cucite da sonorità contemporanee, ritmiche metropolitane, suoni di fattura elettroacustica. La title track al taglio del nastro sfoggia un hype ritmivo dinoccolato su cui si apre a ventaglio ossessivo Gropper, minimale dopo col suo fiato nell’incedere martellante di Broken Circle. Anissegos acquarella emozioni feldamaniane al piano nella parte iniziale di Stepladder Technique, preludendo a pattern complessi, ma anche a contrastanti tensioni di volume sfocianti in un magma di libertà espressiva che tentenna con charme ad esplodere; Squared Circle a suo dire resta sulla strada della ‘normalità’, facendo leva sull’anima jazz e dando risalto ancora una volta alla freschezza e all’immediatezza della tastiera di Antonis, trampolino di lancio per giochi di allenata esasperazione fiatistica e collettiva. Sorpassata la parentesi estemporanea di Still Stream si passa a Stretched, un compendio di sregolatezza improv, mordi e fuggi, un detto e non detto degli strumenti attraverso colori crepuscolari che ancora una volta fanno brillare i (non) dogmi della contemporanea, ma anche certi colori newjazz di quel piccolo grande combo che erano i Day & Taxi di C. Gallio; tutto prende forma con eleganza e piacevole lentezza, ambendo nel finale ad una saturazione armonica. The Moon Is Tidy è melodia lampante e radente luminescenza bluesy a lume di candela, vestendo gli abiti più conformi della formalità fin’ora elegantemente snobbata. An Old, Familiar Tune la segue nell’umore notturno, ritoccando i complessi disaccordi dell’atonalità e lasciando il campo agli abbondanti 10 minuti della finale Ritual Offering dove a marcare i contorni dell’importanza melodica sarà quel sonnolento incedere iniziale del basso accarezzato dall’archetto, punto di partenza da cui si dipana il resto: striature di pianoforte prima preparato, dopo netto, canto di sax man mano sempre più evidente, a tratti arcigno ed eroticamente invadente, una ritmica ovattata che abbraccia con disarmante puntualità, conducendo i giochi ad un lancio magico nel buio totale. Vi è sintonia, bravura e una registrazione assolutamente meticolosa nel fare emergere ogni singolo dettaglio.
Voto: 7/10