(Cantaloupe Music 2023)
Personaggio unico e inimitabile, il musicista e compositore statunitense Moondog, all’anagrafe Louis Thomas Hardin (1916-1999), ha scritto un gran numero di composizioni, per lo di più di breve durata, cimentandosi con i generi del pianoforte (o organo) solista, della musica da camera o sinfonica – le sinfonie, alquanto poco convenzionali, da lui scritte, erano ribattezzate “Symphonique” -, e da composizioni vocali che coniugavano la forma canzone con la struttura polifonica tipica del canone, che prevede l’imitazione rigorosa in cui due o più voci o parti strumentali eseguono una stessa linea melodica, l’una dopo l’altra, a distanza di dati intervalli di tempo. In questo straordinario Cd della Cantaloupe, due tra i più originali e avventurosi ensemble musicali contemporanei, vale a dire la Ghost Train Orchestra (specializzata nel jazz americano degli anni Venti e Trenta) insieme all’iconico Kronos Quartet, attingono a questi ultimi due generi frequentati da Hardin, proponendo delle versioni a dir poco strepitose delle “songs and symphoniques” del vichingo della sesta strada (come venne ribattezzato per il suo bizzarro look). Nei brani cantati, i due ensemble sono accompagnati da alcune tra le più raffinate e importati voci del pop contemporaneo (che rispondono ai nomi di Rufus Wainwright, Marissa Nadler, Joan As Police Woman, Karen Mantler, Jarvis Cocker, Petra Haden, Sam Amidon). Ora, non è certo la prima volta che le composizioni di Hardin sono oggetto di reinterpretazioni o di nuovi arrangiamenti. Penso ad esempio al convincente omaggio della pianista Joanna MacGregor; allo stupendo “Sax Pax For A Sax” con il London Saxophonic; o alle riletture in chiave ambient (a dire il vero, non pienamente convincenti) da parte delle Labèque Sisters. La particolarità delle rivisitazioni qui offerte è che osano persino di più, proiettando queste piccole gemme verso i territori più disparati e apparentemente lontani dal pur multiforme universo musicale di Hardin, come l’indie rock, il bluegrass, e il dream pop, pur mantenendosi fedeli alla poetica e al linguaggio di Moondog. La personalità e il timbro vocale degli interpreti, la ricchezza dagli arrangiamenti – affidati a Brian Carpenter e ad altri membri della GTO -, e l’intervento di solisti che si concedono anche brevi spazi di improvvisazione (penso ad esempio al clarinetto di Dennis Lichtman nel “Theme” iniziale o all’armonica di Karen Mantler in “Coffee Beans”), sono infatti ingredienti che arricchiscono e fanno brillare di luce nuova le composizioni di Hardin qui eseguite, senza tuttavia che queste perdano la loro identità originaria, che ruota attorno a un solido impianto contrappuntistico (che lega Hardin ad autori come Bach e Piazzolla), a un profilo melodico accattivante e apparentemente naive, e una indefessa propulsione ritmica (lo stesso Moondog era percussionista, e si esibiva suonando la “trimba”, strumento a percussioni di sua invenzione). Il lavoro compiuto dai musicisti coinvolti in questo progetto è davvero di inestimabile valore: la bellezza della musica di Moondog ne esce esaltata, moltiplicata, e consegnata a un futuro che, si spera, continuerà a rendere omaggio a questo ineffabile e poliedrico artista, un “american maverick” come ce ne sono pochi.
Voto: 9/10