(Discus Music 2024)
In filosofia della musica due teorie sono direttamente in contrasto. Il sonicismo sostiene che tutto ciò che conta nell’apprezzamento della musica è l’apparenza sonora; il pragmatismo sostiene invece che è rilevante sapere le circostanze, la storia e le modalità della produzione della musica. Si potrebbe allora tentare di apprezzare la voce blues – e un po’ roca – anzi non troppo ben intonata – della cantante Carla Diratz in base a questa seconda teoria, rilevando che quella che sembra la brutta voce di un cantante uomo è prodotta da una donna. Pur ignorando che, comunque, la voce della cantante è ahimé brutta, il problema estetico del disco peggiora quando in alcune occasioni i cliché musicali cadono nel ridicolo – l’ostentazione di pattern blues è troppo palesemente forzata, così come gli ostinati che caratterizzano il sound di Martin Archer, che cominciano un po’ a stufarmi. Intendiamoci: la band è di valore (c’è anche Charlotte Keeffe, che apprezzo molto, alla tromba). Ma in generale è un album mediocre, a tratti caricaturale (versi come quelli di I am a Drifter “as I walked down to the town this morning the clear blue sky was shining above”…. ecc., sono un pochetto triti e ritriti per le mie orecchie). Insomma, pollice verso.
Voto: 3/10