Riccardo La Foresta, James Ginzburg ‘Six and Forty-Six’

(Subtext/Multiverse 2024)

La cosa interessante di questo ascolto, in realtà, è quello che non ho ascoltato ma letto dal press release. L’impressione che avevo avuto dalle orecchie era di una musica elettrificata: un noioso drone sul quale si innestavano variazioni micropercettive, microtonali, microritmiche. E’ come musicare un alveare di api, il cui prodotto sonoro, al di là delle piccole variazioni, quello è.
Mi ha sorpreso invece leggere della ricerca strumentistica di La Foresta sulle percussioni, usate non tanto come utensile ritmico, quanto più come aerofono – un esperimento che lui chiama “Drummophone”; e sull’accordo con l’elettronica di Ginzburg, che non agisce sulla materia sonora, bensì sul controllo elettronico di uno strumento a corde che va in risonanza con l’aria compressa sparata sulle percussioni.
I due compositori/inventori strumentali, dicono le note a stampa, non erano presenti al momento dell’esecuzione, hanno lasciato agire gli strumenti per sé. Forse proprio questa componente umana, intenzionale, si riesce a percepire nella sua mancanza all’ascolto. Non si può pertanto dire una meditazione, anche se pare; ma un pneuma (in senso filosofico, non musicale) desoggettivizzato, un ronzio statico nella sua dinamica, uno sciame sonoro organizzato eppure invisibile – come un alveare, perfetto nella sua geometria.

Voto: 7,5/10

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