(AUT Records 2024)
La cantabilità del tema della prima traccia (Hexagonal Mirrors) con il suo groove hard bop à la Freddy Hubbard dispone subito l’ascoltatore a proprio agio. Non sempre la bontà di un disco si segnala per la novità della sua proposta. Qui è l’eleganza a farsi notare. Gli schemi dei brani sono abbastanza canonici, così come l’articolazione degli assoli. Eppure c’è una notevole cura nel modo in cui il tutto è confezionato: per esempio l’assolo della batteria prima del tema finale del primo brano è assai pregevole. Ma questo si può dire anche di Philosopher’s Stoned, con il suo tema sincopato e spezzato e i suoi assoli esemplari. Le composizioni di Maj Kavšek (tromba e flicorno) sguazzano nel jazz degli anni ‘60/70, ma lo fanno con classe: sembrano standard di quell’epoca. Egli altri musicisti del quintetto – Efim Brailovskiy (sax contralto), Samo Hude (pianoforte), Gal Golob (contrabbasso) e Leo Gerstner (batteria) – sono i compagni perfetti per questa esplorazione fedele, ma anche creativa, di atmosfere di un grande periodo della storia del jazz. Anche perché i ragazzi suonano bene e lo fanno divertendosi. La musica scorre decisa e fluida tenendoci agganciati per tutti i circa 40 minuti dell’album. Poi, l’improvvisazione di Galaterna, appunto come le prime luci dell’alba, ci sorprende, sospendendo l’affondo nel passato e infilandoci in sonorità più avanguardistiche e “Echtzeitmusik”. È il segnale che il progetto non è affatto ingenuo – un segnale confermato dalla strizzatina d’occhio a Mingus (e compagnia musicante) del brano conclusivo: il (quasi) blues Raspberry Juice (Malinovic).
Voto: 8/10