(Discus 2024)
Il sound aspro dei sax di Ron Caines feriscono il magma acido e nervoso (ma tutt’altro che elettrizzante, anzi un po’ lugubre talvolta) generato dalle strutture elettroacustiche di Hervé Perez arricchite dai contributi dei musicisti più fidati della scuderia della Discus – tra i quali risalta la presenza del violoncello di Michael Bardon che da un tocco originale al sound che è l’inconfondibile marchio di fabbrica dell’etichetta di Sheffield. A volte, come ormai scrivo da qualche tempo, anche troppo inconfondibile e anche troppo marchio. Ma va bene così. La sperimentazione può anche trovare le sue convinzioni, i suoi punti fermi, le sue abitudini estetiche: e un volta trovato un sound originale e caratterizzante, non è così facile, ma poi neppure utile, voltare pagina, e cercarne un altro. Quindi, per riprendere il titolo dell’album, va bene sognare, ma bisogna anche essere pratici. Piuttosto qui, in quest’album specifico, che presenta una suite di sette brani, il tono è sempre un po’ mono (e l’andamento sempre un po’ lento): le diverse tracce non risaltano per particolari specifici elementi, ma fluiscono, talvolta trascinandosi, all’insegna della continuità. Anche a questo riguardo si tratta di una scelta con i suoi pro e i suoi contro. Un ascolto meditativo potrebbe esser quello più consono e attuned.
Voto: 6,5/10
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