Intervista con Ken Wissoker, Senior Executive Editor della Duke University Press – Usa

Incontro numero 8, dedicato a far conoscere ai lettori di Kathodik chi si occupa di promuovere un discorso di critica musicale nell’editoria italiana e internazionale. Il primo incontro è stato con Marco Refe della Edizioni Crac di Falconara Marittima (qui). Il secondo incontro è stato con il professore Luca Cerchiari, curatore della collana ‘Musica Contemporanea’ della Mimesis Edizioni (qui). Il terzo incontro è stato con Karl Ludwig, Responsabile Comunicazione della tedesca wolke verlag (qui). Il quarto incontro è stato con Domenico Ferraro, direttore editoriale della Squilibri Editore (qui). Il quinto incontro è stato con Fabio Ferretti, ideatore e curatore della collana ‘Chorus’, della Edizioni Quodlibet (qui). Il sesto incontro è stato con Massimo Roccaforte, curatore editoriale della Goodfellas Edizioni (qui). Il settimo incontro è stato con Christina Ward co-curatrice della casa editrice statunitense Feral House (qui). Oggi mi sposto nella costa Est degli Stati Uniti d’America per intervistare Ken Wissoker, Senior Executive Director della Duke University Press. Casa editrice che da tempo trova spazio in Kathodik perché ha titoli molto curati e interessanti, che sono punti di riferimento per studiare e capire la musica che ci suona in testa.

Qui trovate l’intervista in inglese

Come è nata l’idea di una collana editoriale musicale?

Prima di iniziare a lavorare alla Duke come redattore nel 1991, ho vissuto nella zona sud di Chicago, ad Hyde Park, un quartiere che ha una lunga storia di jazz e che ospita anche l’Università di Chicago. Dal 1979 fino a quando me ne sono andato nel 1988 ho lavorato alla Seminary Coop Bookstore, una storica libreria accademica, disimballando libri e occupandomi dell’esposizione delle novità. Per la maggior parte di quel periodo ho tenuto un programma radiofonico su WHPK-FM, la stazione radio dell’Università di Chicago. Iniziai a fare un programma post-punk, che si muoveva a fianco dei New Order in direzione dance. A quel tempo a Chicago era nata la musica house, ma non c’era nessuno che suonasse hip-hop. Trasformai il mio show nel primo programma rap della città che, anche se la stazione aveva un segnale debole, divenne molto popolare nel South Side. La stazione era nota anche per il jazz e aveva un gruppo impressionante di dj jazz provenienti da tutto il South Side, che hanno cambiato la mia idea della storia del jazz e mi hanno introdotto a molta musica più recente. Era anche il periodo in cui Stuart Hall, Dick Hebdige, Paul Gilroy, Greg Tate e Tricia Rose stavano introducendo nuovi approcci di studi culturali alla musica. Leggevo i loro lavori e li promuovevo in libreria, e poi partecipavo a modo mio alla radio. Così, quando qualche anno dopo sono arrivato alla Duke University Press, l’intersezione tra musica e cultura è stata fin dall’inizio un’area di grande interesse. La cosa da lì è cresciuta esponenzialmente. All’inizio degli anni Duemila, quando Ann Powers ed Eric Weisbard hanno dato vita alla Pop Conference presso l’allora Experience Music Project di Seattle, riunendo giornalisti, critici e accademici, è stata un forte stimolo per il mio pensiero e per la redazione.

Come vengono selezionati i titoli da pubblicare?

Riceviamo ogni giorno molte proposte da tutto il mondo, attraverso il sito web, via e-mail o tramite i curatori delle collane. La casa editrice pubblica solo 150 libri all’anno in totale, quindi devo rifiutare un sacco di belle proposte. Cerco manoscritti che siano originali e intelligenti e che ritengo possano avere successo. Naturalmente non possiamo pubblicare tutti quelli che soddisfano questi criteri. A volte paragono questa parte del lavoro a quella del curatore di una galleria o di un museo, che sceglie le mostre o cosa mettere in evidenza. O a un dj che cerca di tenere la gente sulla pista da ballo. Gli interessi e il pubblico cambiano storicamente in continuazione. Cerco di capire che cosa avrà successo quando uscirà il libro. Per esempio, “No Machos or Pop Stars” di Gavin Butt: https://www.dukeupress.edu/no-machos-or-pop-stars e “A Kiss Across the Ocean” di Richard Rodriguez: https://www.dukeupress.edu/a-kiss-across-the-ocean sono usciti nel momento del revival dei primi anni Ottanta. Avrebbero avuto un successo diverso se fossero usciti un decennio prima (o un decennio dopo).

Per quanto riguarda la selezione di autori stranieri, a quale scuola di critica musicale si fa più riferimento? Accenno un esempio: avete più interesse negli agli autori di lingua inglese? Oppure negli autori di lingua francese? Oppure di altre lingue?

Mi impegno ad avere un punto di vista da ogni parte del mondo in tutti i settori in cui pubblico. Questo vale sia per gli approcci critici che per le musiche. Sono sempre necessarie prospettive da altre parti. La traduzione è costosa e sia la musica che il punto di vista devono essere abbastanza interessanti per il nostro pubblico di lingua inglese. Abbiamo appena pubblicato un’ottima raccolta sulle star coreane BTS intitolata “Bangtang Remixed”: https://www.dukeupress.edu/bangtan-remixed. Sarei entusiasta di un’antologia Black Pink curata e tradotta da scrittori coreani? Assolutamente sì! Per alcune musiche, la lingua originale del concetto fa poca differenza. Se si trattasse di un libro illuminante su Sun Ra, potrebbe essere scritto in qualsiasi lingua, purché sia educativo per i nostri lettori.

Serie di domande tecniche: raccolta fondi, tiratura, promozione, distribuzione per un titolo che scegliete di pubblicare?

Siamo una casa editrice universitaria e facciamo parte della Duke University, per cui ci si aspetta che il bilancio sia in pareggio, non che si realizzi un profitto. Detto questo, ci vuole un grande sforzo per chiudere in pareggio, soprattutto con tutti i lavori accademici all’avanguardia provenienti da tutto il mondo che siamo orgogliosi di pubblicare, anche se non diventano grandi vendite. I libri di musica popolare tendono a vendere meglio della maggior parte dei nostri libri, il che ci aiuta a continuare a pubblicarli. Sono venduti nelle librerie e online qui in Nord America e nel resto del mondo dal nostro distributore CAP con sede a Londra. Facciamo molta promozione sui social media, inviamo molte copie per le recensioni (i pdf hanno reso tutto più facile) e riceviamo molto sostegno in luoghi come The Wire che condividono una gamma di interessi simili. Quando c’è un libro di grande successo, come “Life and Death on the New York Dancefloor” di Tim Lawrence: https://www.dukeupress.edu/life-and-death-on-the-new-york-dance-floor-1980-1983, è possibile vedere i libri recensiti sul Guardian o sul New York Times e altrove.

Quali generi preferite trattare per le vostre pubblicazioni? Perché?

Per lo più mi sono concentrato sul jazz, sull’R&B e su altre musiche nere, anche se abbiamo pubblicato con successo anche sul rock: https://www.dukeupress.edu/henry-cow (o sugli esempi di new wave anni ’80 di cui sopra), sulle musiche africane: https://www.dukeupress.edu/tony-allen, sulle musiche latine: https://www.dukeupress.edu/sounds-of-crossing e sul country: https://www.dukeupress.edu/hidden-in-the-mix. La nostra nuova collana ‘Singles’: https://www.dukeupress.edu/series/singles, con libri sui singoli brani, è iniziata con The Modern Lovers, ‘Roadrunner’, è passata a ‘Hound Dog’ e a ‘Old Town Road’ di Lil Nas X, e da lì si sta espandendo. Quindi si tratta più di quello che dice il libro che di un singolo genere, anche se io sono rimasto per lo più lontano dalla musica classica.

Qual è il titolo più interessante che è stato pubblicato fino ad oggi? Perché?

Non posso rispondere con un solo libro, quindi ve ne darò tre o quattro!

Fred Wesley, “Hit Me, Fred”: https://www.dukeupress.edu/hit-me-fred.

Il bandleader, trombonista e arrangiatore di James Brown e dei Parliament Funkadelic racconta in prima persona tutta la straordinaria musica di cui è stato protagonista. Parla molto della posizione della non-star in modo onesto e riflessivo. Eppure è stato determinante per alcune delle musiche più importanti degli ultimi cinquanta o sessant’anni.

Tim Lawrence, “Love Saves the Day”: https://www.dukeupress.edu/love-saves-the-day.

Questo libro, tradotto in italiano e in giapponese, ha fatto molto per cambiare la nostra idea di discoteca e la storia della musica da ballo in generale, riportando gli uomini gay di colore al centro della storia e offrendo un senso utopico delle possibilità della pista da ballo. Il libro ha recentemente ispirato un’installazione artistica al Museum of Modern Art e costituisce la base per nuovi lavori come il nostro libro di Luis Manuel Garcia-Mispireta, “Together, Somehow: Music Affect, and Intimacy on the Dancefloor”: https://www.dukeupress.edu/together-somehow.

Greg Tate, “Flyboy 2”: https://www.dukeupress.edu/flyboy-2.

Cosa posso dire? Greg è stato il più grande scrittore di musica popolare che abbiamo avuto. Dopo la sua morte troppo prematura, una vasta gamma di scrittori ha testimoniato la sua influenza. Molti di loro non scrivevano di musica e nemmeno di cultura popolare. Ha stabilito un livello che la maggior parte di noi può sperare di raggiungere solo in rare occasioni, e lo ha fatto sembrare facile. Questo libro raccoglie molti dei suoi lavori migliori dagli anni Novanta in poi.

Maureen Mahon, “Black Diamond Queens”: https://www.dukeupress.edu/black-diamond-queens.

Questo libro racconta la storia del rock and roll come una storia guidata da donne nere. Le donne, spesso relegate a ruoli di secondo piano nella maggior parte dei casi, sono qui al centro. Il genere e il nostro senso della storia ne escono completamente migliorati.

Potrei facilmente citarne altri cinque altrettanto cruciali, ma mi fermerò qui.

Come è nata l’idea della collana Studies in The Grateful Dead?

Non mi spetta alcun merito per questo! Il direttore della Duke University Press, Dean Smith, proviene dalla Cornell University Press, dove ha avuto un grande successo con un libro sul concerto dei Grateful Dead, la cui pubblicazione è stata coordinata con la ristampa del concerto da parte della Rhino Records. Ha avuto l’idea di estendere questo sforzo anche qui, e questo è solo l’inizio!

Pensate sia possibile la coproduzione tra editori per pubblicazioni selezionate, come avviene tra microlabel nella musica?

Penso che sia possibile per alcuni libri, ma è più difficile di quanto possa sembrare. Se un editore fa tutto il lavoro e un’altra casa editrice acquista i diritti per pubblicare il libro nel proprio territorio, ciò avviene abbastanza facilmente. Lo facciamo abbastanza spesso con libri che hanno un pubblico importante in Sudafrica o in India, luoghi che raggiungiamo ma non quanto gli editori con sede in quei luoghi. Una coproduzione, in cui lo stesso libro verrebbe pubblicato in diverse lingue, sembra possibile, ma bisognerebbe scegliere il giusto tipo di libri. Il mio negozio di dischi preferito, Dusty Groove a Chicago: https://www.dustygroove.com/, vende spesso favolosi libri dal Giappone che presentano incredibili foto di ogni LP di una determinata etichetta jazz, o degli LP più collezionabili per il campionamento. Il testo è tutto in giapponese, ma molti collezionisti li comprano per le foto e gli elenchi. Si potrebbero fare con testi in più lingue nello stesso libro (come spesso accade con le monografie di architettura)? Probabilmente sì.

Lo stato americano aiuta gli editori per la pubblicazione?

No. Ci sono alcune eccezioni. I musei nazionali, come lo Smithsonian, pubblicano cataloghi e altri lavori. E il National Endowment for the Humanities, che concede sovvenzioni a studiosi e scrittori, ha anche un programma per sostenere l’accesso aperto alle pubblicazioni di questi studiosi, ma in generale no. Non c’è nemmeno il sostegno delle fondazioni per gli editori che poteva venire da Rockefeller o dal Getty quando ho iniziato. C’è una forte pressione neoliberale per rendere le cose autosufficienti, il che ovviamente limita ciò che si può pubblicare.

Oltre ai volumi pensate ad altre forme di pubblicazione? Ad esempio documentari, film, podcast?

No. Siamo felici quando le persone scelgono i nostri libri per queste forme, o quando gli autori sviluppano il loro lavoro in queste direzioni, ma siamo molto impegnati nella pubblicazione di libri e riviste. Non è in programma alcuna produzione cinematografica!

Qualche segnalazione meritevole dei prossimi titoli che avete in cantiere?

Sì, molti! Sono entusiasta di “Made in NuYoRico” di Marisol Negrón, che racconta la storia della Fania Records e l’ascesa della Salsa: https://www.dukeupress.edu/made-in-nuyorico e dei prossimi libri della serie Singles su “Ne me quitte pas”, il classico di Jacques Brel e Nina Simone: https://www.dukeupress.edu/ne-me-quitte-pas e “Under Pressure”, l’inno di Bowie e dei Queen: https://www.dukeupress.edu/under-pressure.

Su una linea diversa, stiamo pubblicando due libri di scrittori e interpreti. “Blues Mamas & Broadway Belters” di Masi Asare, insegnante di canto e scrittura, https://www.dukeupress.edu/blues-mamas-and-broadway-belters, apre la conversazione stilistica tra le vocalist nere e il modo in cui si studiano e si ascoltano.

Poi, Jessie Cox, un compositore che ha studiato alla Columbia sotto la guida dello scrittore e leggenda del jazz George Lewis, ha scritto un libro brillante intitolato “Sounds of Black Switzerland”: https://www.dukeupress.edu/sounds-of-black-switzerland. Cox stesso è nero e svizzero, e considera che tenere insieme queste due identità è quasi impossibile – si suppone che uno sia o nero o svizzero. Si chiede cosa significherebbe non avere una Svizzera nera determinata dallo Stato o in contrasto con la Svizzera bianca, ma mettere insieme tutte le diverse esperienze e comprensioni dei neri in un dialogo e costruire da lì il senso della Svizzera nera. Cox fa un paragone con l’avant garde e la free music, costruendo una coversazione pubblica tra i musicisti, e nel libro va avanti e indietro tra questo tipo di pensiero filosofico e la discussione di composizioni di musicisti della Svizzera nera. È originale e assolutamente avvincente!

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