(LL edizioni 2024)
La musica elettronica ha – per sua natura – sempre flirtato con l’idea di “meccanicismo”, tanto per le modalità di produzione del suono quanto per il ricorso a formule compositive capaci di generare strutture (quasi) autosufficienti. Strategia, quest’ultima, che è stata perseguita tanto in ambito “colto” (cfr. Steve Reich e la sua musica come processo graduale) quanto “extra-colto” (pensiamo a certi lavori di Brian Eno), e che informa – come esplicitato dal titolo, “Automatic Popular Music” – questo intrigante lavoro di Nicola Ratti, musicista e sound designer nato a Milano nel 1978. Le otto tracce di questo Cd consistono infatti di suoni generati in maniera automatica da sintetizzatori modulari, su cui l’autore inserisce cellule tematico-ritmiche suonate per lo più al piano, che vengono sottoposte a processi di ripetizione e dilatazione. Sebbene la ripetizione sia a volte molto insistita e ipnotica, non diventa mai ossessiva, anche grazie all’innesto di micro-variazioni che attirano l’ascoltatore nelle maglie dei brani, il cui lato “popular” (cui, parimenti, si allude nel titolo) è sublimato in trame discrete, giocate su pochi ma significativi scarti, e si riflette in una certa immediatezza d’ascolto. L’ultima traccia – che è la più lunga (otto minuti circa), ed è anche l’unica che reca un titolo descrittivo – è forse l’apice emotivo dell’album: una sequenza rarefatta di accordi viene ripetuta ad libitum, e progressivamente arricchita (sempre con la parsimonia tipica dell’autore) di suoni sparuti e suggestivi che creano un ambiente sonoro introspettivo e lievemente perturbante, di innegabile suggestione.
Voto: 7,5/10