“THE END OF AN EAR”
autore: Robert Wyatt
etichetta: CBS
anno di pubblicazione: 1970
con: Robert Wyatt, Neville Whitehead, Mark Charing, Elton Dean, Mark Ellidge, David Sinclair, Cyrille Ayers.
Non è a tutt’oggi chiaro il motivo per cui Robert Wyatt fu estromesso dai Soft Machine, ma se, come è plausibile, fu conseguenza della sua opposizione allo scialbo jazz rock verso cui il gruppo stava scivolando, questo esordio solista si cala perfettamente nel physique du rôle di manifesto definitivo dell’arte ‘dada-fisica’ tanto cara al personaggio, forma espressiva che presso i suoi futuri ex compagni, come dimostrerà Soft Machine Fourth, non godeva più di nessun credito. The End Of An Ear sarebbe quindi l’unico figlio legittimo delle intuizioni che avevano illuminato Volume Two (Pataphysical Introduction, A Concise British Alphabet, Dada Was Here…) e Third (Moon In June). Basandosi su idee burroughsiane come il cut up, non dimentichiamo che anche il nome della ‘macchina soffice’ era ispirato allo scrittore americano, Wyatt manipola i nastri, e la materia sonora, fino a ottenere un risultato che può essere considerato il parente povero – dati gli strumenti utilizzati – e/o il progenitore di quelle scomposizioni su ritmi, voci e melodie che tanta figliolanza, con l’aiuto dei ben più raffinati campionatori, metterà in pratica nel corso degli anni Novanta. Le sghembe architetture di The End Of An Ear stupiscono ancora ad ogni nuovo ascolto, mentre Wyatt – stretto fra l’incudine della propria politicizzazione e il martello in grado di darle risonanza oltre che prigioniero di una fottuta sedia a rotelle (‘strano frutto’ di una notte di baldoria) – non sarà più in grado di esprimersi a questi livelli. Il motore della ‘macchina soffice’, col tempo, arriverà addirittura a sminuire questo lavoro bollandolo alla stregua di uno scherzo di gioventù. Maledettamente riuscito, è il caso aggiungere.