“FAUST”
autore: Faust
etichetta: Polydor
anno di pubblicazione: 1971
con: Werner Diermaier, Hans Joachim Irmler, Arnulf Meifert, Jean-Hervé Peron, Rudolf Sosna, Gunther Wüsthoff, Kurt Graupner, Andy Hertel.
La kosmiche musik, volgarmente ribattezzata krautrock dagli adepti dell’ultima ora, non faticò a conquistare i cuori di quanti, delusi dall’afflosciamento del sound californiano, cercavano pillole (surrealistiche) in grado di funzionare con efficacia quale surrogato di quel paradiso perduto. I riferimenti alla psichedelia, in realtà, erano minimi e circoscritti ad alcuni gruppi, mentre sarebbe possibile tracciare un parallelo con il contemporaneo fenomeno del progressive, a partire dall’utilizzo indiscriminato di schegge provenienti dal jazz, dalla musica classica, dall’elettronica, dal cabaret, ecc. I Faust del disco d’esordio, con tre brani che hanno tutto l’aspetto del montaggio casuale e precorrono quello che sarà in seguito il mood dei gruppi facenti capo al clan degli Henry Cow, prendono alla lettera l’idea dell’absolutely free zappiano. Nel primo brano, Why Don’t You Eat Carrots, passano da una citazione beat a un pianismo classicheggiante, da un inserto cabarettistico a virate space-elettroniche, da marcette circensi ad assurdi jazzettini. Meadow Meal rincara la dose con filastrocche vocali e scatti tipicamente progressive, che fanno pensare agli Area, inframezzati da un break chiesastico e dalla registrazione di un temporale. Il terzo brano, Miss Fortune, è inciso dal vivo e se, da una parte, mostra la perizia del gruppo tedesco, dall’altra è un più canonico esempio di suono post-psichedelico, con il finale occupato da uno di quei crescendi floydiani che li seguiranno vita natural durante. Ottimo gadget anche se i Faust, quando rinunceranno a questo pot-pourri in libertà per dedicarsi alla forma canzone, falliranno clamorosamente l’obiettivo, soprattutto a causa di palesi carenze canore.