Critica jazz in salsa patafisica
Nella Parigi degli esistenzialisti era un mattatore senza eguali. Amico di Sartre, di De Beauvoir e di tutto l’entourage che ruotava intorno a questi filosofi della notte e della vita, era dovunque e sempre precisamente in ogni momento culturalmente vivo. Lui, Boris Vian, amato/rispettato/odiato/osteggiato/vituperato/incriminato a torto e risorto dalle ceneri della cultura/moda/arte/società come una fenice che si rispetti. Musicista jazz sopraffino, paroliere sincero creatore di un profondo motto contro tutte le guerre, ‘Il Disertore’ ripreso da centinaia di artisti negli anni a venire. Scrittore romanziere anticipatore di stili ‘americani’ che tanto colpirono l’immaginario collettivo. Infine critico jazz curatore di una rubrica su una delle storiche riviste musicali francesi nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, tale ‘Jazz Hot’ o meglio ‘Jazzotto’ come simpaticamente la chiamava, osservatore acuto e divertente di un genere musicale che iniziava allora a farsi conoscere approfonditamente in Europa. Grazie alla casa editrice Stampa Alternativa e a Gianfranco Salvatore, curatore della raccolta inedita in Italia intitolata appunto ‘Boris Vian Jazz!(rassegna stramba)’, e al suo saggio introduttivo/biografia che colma un incredibile ed inspiegabile vuoto editoriale, conosciamo più a fondo il giornalista musicale Vian, leggiamo le sue fulminanti e divertenti toccate e fughe linguistiche su artisti jazz, su stralci da riviste di altri continenti, visione globalizzante antelitteram, che destavano il suo interesse critico, spesse volte sarcastico, miscelato alla sua tagliente ironia; seguiamo le sue peripezie, i suoi gusti e giudizi su un argomento: il jazz e tutto il suo mondo che aveva particolarmente a cuore e che affrontava con tutta la sincerità che lo contraddistingueva. Consigliato.
Marco Paolucci