Guido Chiesa ‘Lavorare Con Lentezza’

Fine anni ’70, Bologna: a Via del Pratello nasceva una radio per dare voce a chi la voce non aveva o, soprattutto, non sapeva di averla.

 

 

Di Lucio Carbonelli

lucio.carbonelli@aliceposta.it

I pochi spettatori che avranno la pazienza di aspettare oltre l’ultima immagine del film e la fine dei titoli di coda si ritroveranno ad ascoltare proprio l’audio originale dello sgombero carabiniero di Radio Alice: “Se non fosse per le pistole alzate, sembrerebbe un film… sembrerebbe di stare al Cinema…” si sentirà dire, più o meno, a un giovane bolognese impaurito.
“È come un film”, si dice sempre così quando succede un qualcosa incredibile… ma perché? La Verità è cosa difficile da definire, questo è chiaro, ma molto spesso i film ci tentano: tentano di raccontare cose se non propriamente vere, almeno verosimili. Questo film è uno di quei film che ambiscono a fare chiarezza e a raccontare quello che tanti anni fa sembrava un film e adesso, appunto, lo è diventato davvero: un film postumo che tenta di raccontare verosimilmente ciò che allora sembrava un film ma era reale, proprio un bel paradosso non c’è che dire.
Questo film ci racconta di due giovani disoccupati, uno del Sud e uno del Nord , che per sfuggire alla morte in fabbrica (dove si fanno cose che poi non ci si può permettere… produci, consuma, crepa è il motto, come cantavano i grandi CCCP) decidono di iniziare a lavorare per un ladro filosofo, bisogna scavare un tunnel (verso una banca o la Libertà?) sotto terra; poi c’è la storia di un commissario triste (e buono?) che vive lontano da casa dove ha moglie e figlio handicappato; poi c’è un ragazzo che rischia la galera e una giovane avvocatessa (hippy) che tenta di aiutarlo… il tutto è tenuto insieme da Radio Alice, una radio pirata il cui atto di nascita viene ironicamente rievocato in quello che sembra un film muto di Ejzentejn: fine anni ’70, Bologna, a Via del Pratello nasceva una radio per dare voce a chi la voce non aveva o, soprattutto, non sapeva di averla.
Un appartamento occupato, materiale elettro-militare, tanti dischi… era tutto quello che serviva: arrivavi in quella radio e ti davano da mangiare pasta, fumo e sogni.
Clima pesante ma anche sorrisi, colori grigi e lividi ma anche sgargianti, il tutto restituito dalla pellicola di questo film; si lottava nelle università, e forse anche nelle fabbriche, questo film è come un osservatore che era lì a scattare foto, foto granulose ma ben nitide.
Sogniamoci un altro sogno, perché siamo pazzi…si sente dire, ancora, in un audio originale e, allora sì, lavorare con lentezza perché lavorare stanca e lavorare uccide, sognare di poterlo fare almeno per una settimana perché l’Arbeit macht frei nazista è sempre risuonato agghiacciante alle nostre orecchie… stare chiusi in casa a far l’amore mentre fuori infuria battaglia contro giovani creduti un pericolo per la sicurezza nazionale… ed ecco che il film si adagia sui giorni nostri, aderisce perfettamente agli scontri (ri-)visti negli ultimi anni, va ad incastrarsi in quel di Genova, sì, dove un estintore passava di mano e un carabiniere sparava ad altezza d’uomo.
Storia e finzione qui si incrociano, si abbracciano, sicuro, però le storie raccontate qui sono belle è aiutano la rievocazione e la comprensione di un tempo che sembra non poter tornare più… forse questo non sarà un film perfetto, anzi è sicuramente un film imperfetto, siamo sinceri, non sarà nemmeno un film bellissimo, eppure è un film necessario proprio nella sua imperfezione: il suo fine è quello semplice di parlarci di un tempo in cui sembrò che il flusso creativo del linguaggio mao-dadaista di certi giovani potesse farcela, a cambiare la realtà…  e la cosa più apprezzabile di questo film è che non cade in fastidiosi luoghi comuni né in stupidi manicheismi: infatti c’è anche il carabiniere che batte il piede al tempo di Radio Alice e il comunista che applica la censura “estetica”.
Un film necessario quindi per tentare di capire quei giovani il cui mitra era il contrabbasso come cantavano gli Area, qui ricordati al Parco Lambro attraverso quella che sembra una citazione da Woodstock… dove sono andati a finire quei giovani, quei tempi?
Chissà… di questi tempi l’unico luogo in cui potersi sognare un altro sogno sembra essere solo il Cinema, bello sì, ma anche sconfortante.

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