Di Marco Paolucci
Sta diventando un comune amico Thomas Ott, un autore che si inizia ad incontrare spesso nelle webpagine di Kathodik (cliccare per credere qui). E’ come un possibile comune amico che si ha piacere a rivedere e che sappiamo/siamo sicuri, difficilmente ci potrà annoiare o deludere con quello che fa. E’ qualcuno con cui ci accingiamo a scambiare quattro chiacchiere mentali, in particolare con i suoi sogni inchistrati che diventano facilmente incubi ma che alla fine del bel volume curato dalla Black Velvet ritornano realtà. Basta notare che il suo inconfondibile stile, che sembra quello di un negativo di una tavola da incisione rimane impresso, ricorda le innervazioni dei manichini anatomici, rimanda anzi ai manichini anatomici, alla cura certosina che ci si mette nel definire le vene, i muscoli, gli interstizi del corpo. Ott paradossalmente con il suo stile lavora sulla superficie dei corpi, sull’epidermide che incide e sovraincide come a mostrare che attori principali della recita inconscia che si sta svolgendo sotto gli occhi del lettore sono soptrattutto le epidermidi dei protagonisti, intagliati nella china. Le storie, fulminanti, oscure, graffianti, scarne, avare di parole, in questo volume sovrabbondano nella loro minima presenza, non offrono replica, ma avvolgono e coinvolgono con la loro spettrale ironia. Si susseguono fino alla fine del volume e lasciano la porta aperta alla mente libera di immaginare e ricercare possibili finali, alternativi, o di riflettere sull’ironia di quelli che ha appena finito di leggere.