Di Marco Paolucci
Documento storico, bibbia della popular music, chiamatela come volete quando la sfoglierete per leggerla ma fatelo, perché dovete. Voi vi chiederete giustamente chi, cosa, dove…ma è pazzo? No, tranquilli, a voi la spiegazione: finalmente tradotta, e aggiungiamo ottimamente da Michele Piumini, l’ultima fatica di Simon Reynolds, giornalista dei più prezzolati della scena inglese, penna sopraffina e agguerrita che si mette alla prova e pone un punto alla riflessione sul rock e dintorni con questo ‘Post-punk’, uscito per la casa editrice Isbn, e che tratta la scena musicale inglese e americana dal 1978 al 1984, periodo storico limitato ma che il nostro con la sua eccellente scrittura mostra, foriero di un vero tentativo di cambiamento di società. Dopo la grande bolla mediatica dei Sex Pistols, sorta di Baburu ante litteram, Reynolds spiega con nomi, fatti, date, giudizi incredibilmente precisi e rigorosi che il punk come modus operandi della popular music ha ricostruito un modo di agire multiforme ed incisivo, dispiegatosi in esperienze di autogestione come la Rough Trade e la SST, con bands quali Throbbing Gristle, Scritti Politti, Pop Group, Devo, Pere Ubu, This Heat che da un capo all’altro del globo hanno tentato di cambiare il modo di intendere la musica e la società criticando “nota per nota” lo status quo e proponendo, o almeno provandoci, un diverso modo di vedere le cose. Niente manfrine ne abnormi oggetti musicali volanti non ascoltabili, ma formazioni che nel bene e nel male hanno riscritto le regole del do it yourself, aggiornando e accordando in Re i tre accordi che Mark Perry ricordava come promemoria per ogni futura band che volesse dire la sua. Una miscela acusticamente esplosiva che in quegli anni si è coagulata in pop, rock, elettronica, che ha riaggiornato il concetto di rimessa in discussione, che ha provato fino allo sfinimento a ricreare e ricrearsi, fino a perdere il senso nei mille rivoli del pentagramma commerciale, ma che grazie a ‘Post-punk’ rimane come tentativo storico e avvincente narrazione di quel periodo indimenticabile. Ribadiamo, ben scritto, divertente, senza pretese di completezza, per chi crede, come l’autore chiarisce nelle pagine finali, che dedicare la propria vita alla musica abbia un senso.