Di Marco Loprete
“1967” di Cristiano Ferrarese è un allucinante viaggio nei meandri della follia. Due i personaggi principali del libro: un serial killer che uccide spinto a suo dire dal Signore e la poliziotta incaricata delle indagini.
Diversi eppure simili, «lui» e «lei» come sono sinteticamente indicati nelle oltre centocinquanta pagine che compongono il volume, rappresentano in realtà due facce della stessa medaglia, tant’è che entrambi, ci informa il narratore, finiscono rinchiusi in un manicomio. Eppure non si tratta di due entità distinte. “Lei” (descritta come una donna brutta, dipendente dall’alcool e sola), infatti, sembra essere l’ennesimo prodotto della fantasia malata del protagonista, il quale rievoca la sua vicenda mescolando in un vortice tumultuoso ricordi, frammenti di realtà, incubi ed allucinazioni a base di violenza sadica, sangue, perversioni sessuali ed ogni sorta di nefandezza, il tutto condito anche da una inevitabile polemica contro il carattere coercitivo delle istituzioni un tempo chiamate manicomi (il romanzo è effettivamente ambientato nel 1967), con tanto di infermieri violenti e crudeli.
Il risultato di questo pastiche è un romanzo sì affascinante, ma confuso, caratterizzato anche da una certa ripetitività e prevedibilità nella struttura e nel registro. Persino tutto quell’insistere sulla rappresentazione delle turpi fantasie del protagonista finisce col sottrarre ad esse la loro carica violenta, depotenziandole e degradandole ad “ordinaria amministrazione”. La denuncia sociale, poi, è talmente tanto scontata che Ferrarese poteva sinceramente risparmiarsela.
Ad ogni modo, “1967” è solo «il primo pezzo di un puzzle temporale»: altri due volumi seguiranno, fino a comporre con questo una trilogia. Staremo a vedere.
Link: Editore Hacca, 2008