Di Marco Loprete
Prima di cominciare con la recensione vera e propria, due parole sull’autore. Franco Fabbri, musicologo e docente di materie collegate alla storia, all’estetica e all’economia della popular music presso le università di Torino, Genova, Milano, è stato, in passato, il chitarrista degli Stormy Six, formazione milanese costituitasi nel 1966 e scioltasi nel 1983 e ascrivibile all’ambito del rock progressivo/psichedelico italiano. Dunque chi meglio di lui (che tra l’altro è anche presidente dell’International Association for the Study of Popular Music), poteva riuscire nell’impresa di scrivere un libro come “Il suono in cui viviamo”?
Ben pochi, crediamo. Fin dalla comparsa della sua prima edizione (la presente è la terza), il volume si è imposto all’attenzione di addetti ai lavori e non per l’acutezza delle analisi di Fabbri e la sua chiarezza espressiva. I saggi che lo costituiscono, infatti, propongono una serie di considerazioni brillanti e per nulla scontate sui più svariati argomenti: dalla musica contemporanea alle teorie sui generi musicali, dalle forme della canzone all’analisi delle composizioni dei Beatles, dal rock progressivo e sperimentale al rapporto tra musica elettronica e cinema passando per la world music, il jazz e il suono “riprodotto”.
Nonostante gli intrecci tra musicologia, antropologia e semiotica che caratterizzano le riflessioni di Fabbri, il libro si legge con una discreta facilità e non ha nulla della pedanteria accademica di altri saggi del genere. Caldamente consigliato a tutti quelli che, amando la musica, sono interessati ad acquisire una prospettiva più analitica in questo campo.
Link: Editore Il Saggiatore, 2008