Di Marco Loprete
Ted Street è quello che banalmente si può definire un uomo mediocre. La sua carriera di professore di Inglese antico all’University of Southern California sta andando a rotoli (nessun editore ha accettato la sua pubblicazione e perciò non ha alcuna possibilità di superare la verifica per il passaggio di ruolo), è sposato con una donna che non ama e che in passato ha tradito con una sua studentessa ed ha un rapporto distaccato con i due figli e la sorella. Detto altrimenti, Ted Street è un fallito. Per questo motivo decide di farla finita. Un bel giorno si incammina in direzione della spiaggia, pronto ad annegarsi. Il destino, però, ci mette lo zampino: un furgone dell’UPS sbanda e l’investe, decapitandolo di netto.
Durante la cerimonia funebre accade un secondo imprevisto: mentre familiari, amici e colleghi ne rimpiangono la prematura dipartita, Ted si rialza dalla bara, vivo e vegeto. Da questo momento prende avvio la vicenda paradossale del protagonista, il quale, per la sua condizione di non-morto, è prima sottoposto all’assedio costante dei giornalisti, poi rapito da una setta di fanatici religiosi ed infine da quelli del Pentagono, decisi a studiarlo per carpire il segreto della sua invulnerabilità. Ma Street non solo non può morire (le pallottole di pistole e fucili e persino le palle di cannone non lo scalfiscono neppure), ma è anche in grado di percepire il passato ed il presente dei suoi interlocutori, le loro debolezze, i loro sentimenti e stati d’animo in maniera estremamente nitida. Dopo la sua non-morte, Ted è un uomo nuovo sotto tutti i punti di vista: abbandonato l’egoismo e la vigliaccheria che durante la sua vita precedente ne avevano contraddistinto le azioni, è diventato consapevole del male che ha commesso e del dolore che ha causato, e trova persino il coraggio di salvare un gruppo di bambini prigionieri di un santone folle.
L’epilogo (stupendo) non ve lo raccontiamo, per non rovinarvi la sorpresa. Possiamo però dirvi che “Deserto americano” è un’altro sorprendente capitolo della bibliografia di Percival Everett. Mescolando, come in “Glifo”, ironia e suspense, il grande scrittore americano punta il dito contro la morbosità dei media, il fanatismo religioso e l’ottuso militarismo della società, statunitense in particolare ed occidentale in generale. Ma “Deserto americano” non è solo questo. Affidando, con una scelta straniante e paradossale, la narrazione allo stesso Ted Street (il quale però, essendo morto e dunque «fuori di sé», si racconta in terza persona), Everett, pagina dopo pagina, propone una profonda riflessione sul senso della vita e della morte, sul “desiderio” di morte e sulla tensione verso il “non-essere”, metafore della deriva della società contemporanea la cui coscienza, ottusa da falsi idoli, sembra alle volte essere insensibile ed incapace di provare alcunché, al pari del corpo di Ted Street.
Un altro magistrale saggio di post-modernismo letterario da uno dei più grandi scrittori americani di tutti i tempi.
Link: Editore Nutrimenti, 2009