@ Circolo Degli Artisti, Roma – 7 Aprile.
Di Damiano Gerli
E’ sempre una serata da segnare sul calendario quando s’intravedono i Thee Silver Mt Zion Memorial Orchestra a Roma (d’ora in poi SMZ), dopo la loro ultima apparizione sempre al Circolo degli Artisti nel 2008.
Questa volta, dopo l’uscita di tre membri, gli SMZ si presentano come un quintetto: due violini, contrabbasso, batteria e chitarra. Il risultato non è certo deludente in quanto a potenza ed eleganza, queste sono notevolmente intatte.
Il pubblico di età media piuttosto giovane è accorso numeroso ad accogliere i canadesi, che sgattaiolano silenziosamente sul palco verso le dieci. L’apertura, come di consueto nel corso del tour, è riservata alla suite di I Built a Metal Bird, probabilmente la prima vera e propria “canzone” mai scritta dai SMZ, contenuta sull’ultimo Kollaps Tradixionales. La band ha riprodotto talmente bene il tono secco e aggressivo del pezzo che per un attimo viene il dubbio… ma siamo venuti a vedere i Sonic Youth?!?. Il pubblico è ancora un po’ infreddolito ma ascolta volentieri e apprezza.
A quel punto si apre il contatto stretto con i fan, elemento a cui Efrim tiene particolarmente nei concerti. La proposta di fare domande lascia spiazzati un po’ tutti quanti, ma la cosa non mancherà di entusiasmare e di permettere al frontman di discutere a lungo di argomenti diversi e intriganti quali Facebook, la distribuzione digitale, Berlusconi… più alcuni disperati tentativi di decifrare alcune domande davvero indecenti.
La musica invece prosegue con il momento più emozionante del set, Black Waters Blowed/Engine Broke Blues, dove il gruppo diventa improvvisamente intimo ed esposto in maniera quasi imbarazzante. Tutti ascoltano religiosamente e dopo i tredici minuti segue un applauso lunghissimo, lasciando trasparire un coinvolgimento assoluto e completo anche da parte degli spettatori.
L’unico momento non pienamente convincente del set si ha con Piphany Rambler, il pezzo probabilmente più ‘classico’ estratto dall’ultimo lavoro dei SMZ, anche se il gruppo riesce a far digerire i lunghi momenti in maniera comunque liscia. Scompaiono per un paio di minuti dal palco poi, richiamati a gran voce, tornano per concludere con la stupenda There is a Light, probabilmente la scelta ideale per mandare tutti a casa, con il suo finale così tenero, intonato da Sophie e Jessica.
Si torna a casa con un po’ di sana inquietudine e la certezza di sentirsi meglio, di avere molto da raccontare e ancora di più da discutere. Meglio di così!