Di Elisa Girotti
Sembrava proprio che fossi rimasta solo io a non aver letto qualcosa di Fabio Bartolomei. Fortunatamente ho rimediato. Questo romanzo è scritto con la stessa gradevole verve di un successo di qualche anno fa “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” di Mark Haddon (se non lo avete letto, correte a comperarlo). In entrambi i casi i protagonisti e le voci narranti sono due bambini “diversamente” dotati. Nel nostrano “We are family”, Al, questo è il nome del nostro eroe, è un bambino nato negli anni 70 che ci racconta le vicende della sua famiglia, la famiglia Santamaria. Inizialmente il filone sembra essere quello Amarcord, tra citazioni di giocattoli e descrizioni di una compianta vita ormai scomparsa. Man mano che si avanza nell’intricata faccenda che sono le vite dei vari Santamaria, sia senior che junior, ci si allontana da questo filone per arrivare ai sentimenti.
Il vero regalo di questo libro è la lucida passione che l’autore mette nella descrizione di una cronaca familiare, della lotta per la quotidiana sopravvivenza e del modo in cui i sentimenti ci tengono legati e forti rendendoci indistruttibili. Ho pianto moltissimo nelle ultime 3 pagine, la trama era chiara, e la chiusa palese quasi da metà libro, ma un buon libro non è solo quello con la trama più avvincente o inaspettata, un buon libro è quello che ti tiene legato fino alla fine perché, anche senza colpi di scena, sai che ti regalerà qualcosa di importante, qualcosa di cui ricordarti, qualcosa che ti farà dire al tuo compagno di ombrellone che ti vede piangere come un vitellino “vale la pena di piangere per un così bel libro”.
Link: Fabio Bartolomei, We are family, Roma, Edizioni E/O, 2013