Intervista ad Alessandro Camilletti deus ex machina degli Psycho Kinder
Di Marco Paolucci
uccio12@hotmail.com
11/06/2015: Gli Psycho Kinder sono una realtà musicale italiana dedita a un’accurata esplorazione dei misteri dell’anima e della canzone, tra reminescenze wave e intrusioni nel cantautorato “dark”. Dopo vari passaggi in Kathodik con le loro produzioni naturale sapere qualcosa di più di questa “nouvelle band” dal leader Alessandro Camilletti, disponibilissimo ad approfondire la reciproca conoscenza.
1. Raccontami gli inizi di Psycho Kinder, come è nata l’idea di formare una band?
Da sempre appassionato di musica, nel 2009 ho avvertito l’esigenza di interpretare alcune poesie che avevo scritto. Ho iniziato accompagnato dal solo Giorgio Mozzicafreddo alla chitarra. I brani non erano che abbozzi postpunk ma a mio avviso avevano già una propria personalità, esprimevano qualcosa. L’atmosfera che si veniva a creare nella piccola casa di campagna in cui provavamo era speciale. La ricordo con molta nostalgia.
2. Come nascono i brani, come vi approcciate alla forma canzone?
Quasi sempre nascono prima le liriche mentre non c’è un iter preciso nella composizione delle musiche.
3. A chi vi ispirate quando componete? Quali sono i vostri “cattivi maestri”?
I testi sono molto personali, più influenzati dal vissuto, dalle letture o dagli accadimenti sociali in generale che dall’ambiente musicale. Il mood oscuro e intimista che si viene a creare ne è la naturale conseguenza.
4. Il vostro percorso è stato e continua ad essere molto meditato: prima un ep, poi altri due, infine la prova sulla lunga distanza con un album completo. Come mai non avete voluto esordire subito con un album?
Ogni pubblicazione ha una sua gestazione. In realtà non sempre c’è una vera e propria pianificazione del lavoro in termini di formato.
L’ultimo singolo ad esempio (“Vivo e invisibile/Nel caos dell’ecumene”) l’ho trovato perfetto così – vista la forte affinità concettuale dei due brani – e non ho ritenuto opportuno aggiungere altro materiale solo per aumentarne la durata. In un certo senso avrebbe sminuito l’intensità del lavoro.
Diverso è stato il caso del debutto, nel 2011. Da alcuni mesi stavamo lavorando su sei pezzi (cinque dei quali finiti poi nell’Ep “Democratiche Ipocrisie”) e a un certo punto abbiamo deciso di concentrarci soltanto su “2009” e “Un Uomo” perché ci piaceva far iniziare la nostra avventura con un singolo il più possibile d’impatto.
5. Una domanda specifica a te Alessandro: ti ci ritrovi nella definizione di Mark E. Smith “nostrano”?
Agli inizi la discontinuità della formazione mi ha portato a scherzarci su con una battuta simile. Da un paio d’anni, tuttavia, non si può più considerare Psycho Kinder una band vera e propria ma un progetto musicale caratterizzato da alcuni punti fermi (la produzione di Michele Caserta e la grafica di Marco “El Topo” Luchetti) che ruota intorno alla voce e alle liriche e che, di volta in volta, vede diversi collaboratori alternarsi alla realizzazione delle musiche.
6. Con chi vorresti collaborare?
Sono aperto a tutto, rimanendo in ambito wave (nella più ampia delle accezioni).
L’ultima collaborazione con Ali Salvioni (Settore Giada) è stata davvero speciale, nonostante il lavoro “a distanza”.
7. Gli Psycho Kinder sono una band da studio. Prevedete prima o poi un’uscita dal vivo?
Mai dire mai. Pianificare un’attività live apprezzabile (non una tantum) in questo momento sarebbe molto impegnativo. Oltre alla mancanza di un assetto stabile, si deve fare i conti con un lavoro a tempo pieno e altri impegni familiari.
Per questi motivi l’attività in studio rimane, almeno per ora, la finalità del progetto.
8. Come vedete la scena italiana a livello di produzioni, di spazi per suonare, di contatti?
Con alti e bassi. Dalle nostre parti ad esempio ci sono piccoli club di qualità (penso soprattutto al “Dong”) e diversi appassionati che si spendono per stimolare un ambiente sempre più di nicchia, scrivendo su riviste/webzine alternative, facendo ottimi dj-set, conducendo programmi radiofonici coraggiosi (LupOnAir) o organizzando eventi e manifestazioni interessanti come il Festival delle etichette indipendenti OnlyFuckingLabels.
Di contro, non vedo da diversi anni nuove produzioni che lascino il segno. Se ci sono (e ci sono), non hanno una distribuzione adeguata.
Non è un problema locale ma nazionale (o forse internazionale). Talent e major a parte, le case discografiche non osano più di tanto e i cosiddetti gruppi “indie” (etichetta che non esprime nulla) più in voga sembrano spegnere tutte le idee già al secondo disco, non riuscendo a svincolarsi da liriche infarcite di luoghi comuni e storielle tardo-adolescenziali e da un’immagine di sciatteria esistenziale fine a se stessa.
La tecnologia a portata di tutti, gli ascolti sempre più frammentati e superficiali che si fanno in rete e la ricerca del successo immediato come unico fine non fanno poi che aggravare la situazione.
9. La classica domanda finale a cui non ci si può esimere: come vedete il vostro futuro, musica, organizzazione di eventi, tutto il resto?
Non avendo contratti e impegni da rispettare, non ci preoccupiamo troppo del futuro. Almeno da questo punto di vista siamo dei privilegiati.
Link: Ultimo video Youtube
Link: Pagina Facebook
Link: Bandcamp Page