Steve Earle ‘Jerusalem’


Sono passati ormai quasi venti anni dagli esordi del texano Steve Earle, trapiantato a Nashville giovanissimo in cerca di fortuna come songwriter (autore di canzoni interpretate da altri artisti). A metà anni settanta sembrava che la fortuna iniziasse a girare nel verso giusto: Elvis Presley voleva incidere un suo brano, ma per vari motivi ciò non accadde.
Nella prima metà degli anni ottanta Steve decide di iniziare la sua carriera solista, scrivendo per se stesso. La critica principale ai suoi primi lavori, per il mondo nashvilliano, patria della country music (non quella “vera”, ma quella più squallidamente commerciale), era che i brani del nostro fossero troppo rock per i circuiti country e troppo country per quelli rock. Ma le due anime di Earle, quella tradizionale e quella più rock (vicino ad artisti come Mellencamp e Springsteen), continueranno a coesistere in tutti i successivi lavori, come parti inscindibili della stessa sostanza. Il suo essere un outsider, nello spirito e negli atteggiamenti, lo porta ad identificarsi con quella schiera di cantautori chiamati Outlaws (fuorilegge), personaggi “veri”, sinceri, al di fuori degli schemi del music businnes. Ma a cavallo fra gli anni ottanta e novanta iniziano i guai: alcol, droghe… ed infine l’arresto.
Dopo la prigione Steve torna visibilmente ingrassato ma con nuova linfa, infilando una serie di ottimi dischi nel corso dell’ultima decade.
Adesso è l’ora di “Jerusalem” anticipato dalle polemica per il brano John Walker’s blues, storia ispirata a John Walker Lindh, ribattezzato il Talebano-Americano, una critica alla società americana profonda ed intelligente, (in tempi come questi, argomento davvero scottante, che dimostra il coraggio dell’artista e la sincerità dell’uomo, che racconta anche ciò che la massa e soprattutto le autorità non vorrebbero ascoltare).
“Jerusalem” è l’ennesimo ottimo album in bilico tra tradizione e “modernità”. Bello l’inizio di Ashes to Ashes, classica ballata rock alla Earle, con un bellissimo assolo di armonica nel mezzo, America v. 6.0 (The Best We Can Do), molto Mellencamp e Rolling Stones, è un buon brano rock che non spicca per originalità. Conspiracy Theory è invece una novità, arrangiamenti moderni in un brano particolare e ricercato.
Ottime la già citata John Walker’s Blues e The Truth, due folk songs intense e sentite, e le dolci The Kind e I Remember You, in duetto con Hammilou Harris.
Il finale è per la title-track Jerusalem, armonica iniziale per una ballata che richiama il passato.
Ennesima conferma per un grande artista.

Voto: 8

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